Venerdì 5 marzo, ore 18, @ Feltrinelli, via de' Cerretani, Firenze.
Uno di quei rari momenti della vita in cui hai la possibilità di trovarti faccia a faccia con il tuo regista-idolo di sempre (almeno per quanto riguarda il cinema italiano): Ferzan Ozpetek.Colui che ci ha regalato perle come "Le Fate Ignoranti" e "La Finestra di Fronte", l'unico nel Belpaese a parlare apertamente di omosessualità, raccontandola senza inutili pudori, reticenze o banalità, nel modo in cui va fatto: "normalmente" (che brutta parola, direbbe Ilaria Occhini), come qualunque altra caratteristica dell'essere umano.
L'incontro col pubblico alla libreria Feltrinelli ha visto protagonista il regista italo-turco e parte del cast del suo ultimo film "Mine Vaganti": Elena Sofia Ricci, Ennio Fantastichini e Alessandro Preziosi. Incalzati dalle domande (alcune piuttosto banali e scontate) di un giornalista, i 4 hanno dimostrato intelligenza, ironia e grande passione per il lavoro che fanno.
L'entusiasmo era palpabile: si captava l'atmosfera conviviale che Ozpetek ricrea non solo nelle sue pellicole, ma proprio sul set, durante la lavorazione, trattando il suo cast come una grande famiglia.
Fantastichini saggio come pochi, Ricci simpatica, Preziosi figo e piacione, ma ne ha ben donde.
Un incontro coi fiocchi culminato con l'autografo dell'attrice e del regista, un cimelio, quest'ultimo in particolare, da conservare ed incorniciare per i posteri!
L'incontro col pubblico alla libreria Feltrinelli ha visto protagonista il regista italo-turco e parte del cast del suo ultimo film "Mine Vaganti": Elena Sofia Ricci, Ennio Fantastichini e Alessandro Preziosi. Incalzati dalle domande (alcune piuttosto banali e scontate) di un giornalista, i 4 hanno dimostrato intelligenza, ironia e grande passione per il lavoro che fanno.
L'entusiasmo era palpabile: si captava l'atmosfera conviviale che Ozpetek ricrea non solo nelle sue pellicole, ma proprio sul set, durante la lavorazione, trattando il suo cast come una grande famiglia.
Fantastichini saggio come pochi, Ricci simpatica, Preziosi figo e piacione, ma ne ha ben donde.
Un incontro coi fiocchi culminato con l'autografo dell'attrice e del regista, un cimelio, quest'ultimo in particolare, da conservare ed incorniciare per i posteri!
Il film si apre con una sequenza priva di dialoghi: Carolina Crescentini, in abito da sposa, corre per la campagna salentina dal suo amore impossibile, tentando un gesto estremo. È un flashback. Il montaggio serrato ci fa intuire che si tratta della nonna Cantone (un'Ilaria Occhini meravigliosa, il suo personaggio è uno dei più belli mai scritti da Ozpetek) in giovane età.
Il regista turco firma il suo film più (passatemi il termine) almodovariano, nei personaggi (in primis la zia Elena Sofia Ricci, mai così in parte e divertente: occhialuta, alcolizzata e amante del sesso, il personaggio è ispirato a tre zie di Ozpetek) e nell'ironia. Si ride, tanto e di gusto, con intelligenza, in questa sua ottava opera, che si pone senza dubbio al di sopra dei suoi ultimi lavori (sicuramente di "Un giorno perfetto", ma anche di "Saturno Contro").
Merito di un equilibrio vincente tra commedia e dramma, tra stile e temi a lui sempre cari (l'importanza della famiglia, tradizionale e non, il cibo, l'omosessualità, i rapporti genitori-figli, amicali, ecc.).
Abbandonando alcune forzature e velleità autoriali, il regista ritrova la sua vera linfa, in chiave di commedia all'italiana più classica, dello spaccato di vita più genuino e viscerale, mettendoci il cuore più che la testa. E si sente.
La sua storia è sincera, realizzata con passione, brillante e coinvolgente (ne sono testimonianza le reazioni del pubblico durante la proiezione in anteprima, risate fragorose e applausi finali). Non a caso, il film è stato accolto benissimo al Festival di Berlino ed è già stato acquistato da 16 Paesi.
Ogni personaggio porta con sé turbamenti, pazzie, sconvolgimenti, traumi e sogni (inespressi o meno), che si tratti della rivelazione della propria omosessualità, di una felicità rubata o di un amore irraggiungibile. Ognuno nasconde un segreto, un passato più o meno oscuro (come il personaggio della sempre brava Nicole Grimaudo, purtroppo non completamente approfondito), che rende la tanto decantata "normalità" soltanto un'irritante utopia.
E la riflessione non deriva da una lezioncina morale o retorica, ma da un senso di familiarità e immedesimazione quasi automatici, che rendono la pellicola magnificamente imperfetta (perché non ricerca la perfezione, ma l'umanità attraverso uno stile dissacrante), come qualsiasi essere umano.
Quello, ad esempio, interpretato da Ennio Fantastichini (superbo), un padre autorevole e bigotto. Oppure la mamma Lunetta Savino (deliziosa e incontenibile), ossessionata dai dubbi e dai sensi di colpa, come ogni madre italiana (e non).
I figli, paradossalmente, sono i personaggi meno marcati, lasciati più liberi dalla sceneggiatura (firmata dal regista e da Ivan Cotroneo, al posto dei soliti Gianni Romoli e Tilde Corsi), quindi più fluidi: Preziosi, presenza fugace ma basilare nel racconto, si dimostra convincente, Scamarcio, sdoganato dai tempi mocciosi, si conferma interprete sensibile, anche se a volte troppo incolore e "passivo".
In definitiva, un cast in stato di grazia, impreziosito dalle presenze colorite e stereotipate (forse eccessivamente, ma perdoniamo Ozpetek vista l'ilarità che suscitano. E poi, chi non ha mai incontrato nella vita reale ragazzi così?) degli amici romani di Tommaso/Scamarcio, piombati nella casa natìa del ragazzo, portando scompiglio e ambiguità.
Oltre alle loro, le scene più divertenti sono quella nel negozio di borse, in cui Savino e Ricci incontrano una pettegola compaesana, e quella in cui, sempre la zia Ricci, offre uno sciroppo particolare alle due nipotine in carne.
Commovente la scena finale della nonna, in cui si abbuffa di dolci, e punte di genialità raggiunge il finale vero e proprio, d'ispirazione felliniana, in cui vivi e morti si ricongiungono in una grande scena danzante, lasciando da parte un po' di orgoglio e prestando più attenzione ai cari che si trovano intorno ad ognuno di noi.
Come sempre azzecatissima la colonna sonora, con la trainante "50mila" cantata da Nina Zilli, che restituisce tutta l'atmosfera e il sapore di un racconto magico e veritiero al tempo stesso, che in altri Paesi parrebbe anacronistico ma che in Italia ancora rimane attualissimo, purtroppo.
Consoliamoci, senza essere banali: l'amore, alla fine, è l'unico che conta, anche se non viene realizzato pienamente. Gli affetti familiari, contraddittori, nocivi, ma anche quelli più sentiti, plasmano e caratterizzano, nel bene e nel male, ciascun individuo.
Alla fine, comunque, tutto ci viene restituito, anche ciò che avevamo lasciato indietro.
Il regista turco firma il suo film più (passatemi il termine) almodovariano, nei personaggi (in primis la zia Elena Sofia Ricci, mai così in parte e divertente: occhialuta, alcolizzata e amante del sesso, il personaggio è ispirato a tre zie di Ozpetek) e nell'ironia. Si ride, tanto e di gusto, con intelligenza, in questa sua ottava opera, che si pone senza dubbio al di sopra dei suoi ultimi lavori (sicuramente di "Un giorno perfetto", ma anche di "Saturno Contro").
Merito di un equilibrio vincente tra commedia e dramma, tra stile e temi a lui sempre cari (l'importanza della famiglia, tradizionale e non, il cibo, l'omosessualità, i rapporti genitori-figli, amicali, ecc.).
Abbandonando alcune forzature e velleità autoriali, il regista ritrova la sua vera linfa, in chiave di commedia all'italiana più classica, dello spaccato di vita più genuino e viscerale, mettendoci il cuore più che la testa. E si sente.
La sua storia è sincera, realizzata con passione, brillante e coinvolgente (ne sono testimonianza le reazioni del pubblico durante la proiezione in anteprima, risate fragorose e applausi finali). Non a caso, il film è stato accolto benissimo al Festival di Berlino ed è già stato acquistato da 16 Paesi.
Ogni personaggio porta con sé turbamenti, pazzie, sconvolgimenti, traumi e sogni (inespressi o meno), che si tratti della rivelazione della propria omosessualità, di una felicità rubata o di un amore irraggiungibile. Ognuno nasconde un segreto, un passato più o meno oscuro (come il personaggio della sempre brava Nicole Grimaudo, purtroppo non completamente approfondito), che rende la tanto decantata "normalità" soltanto un'irritante utopia.
E la riflessione non deriva da una lezioncina morale o retorica, ma da un senso di familiarità e immedesimazione quasi automatici, che rendono la pellicola magnificamente imperfetta (perché non ricerca la perfezione, ma l'umanità attraverso uno stile dissacrante), come qualsiasi essere umano.
Quello, ad esempio, interpretato da Ennio Fantastichini (superbo), un padre autorevole e bigotto. Oppure la mamma Lunetta Savino (deliziosa e incontenibile), ossessionata dai dubbi e dai sensi di colpa, come ogni madre italiana (e non).
I figli, paradossalmente, sono i personaggi meno marcati, lasciati più liberi dalla sceneggiatura (firmata dal regista e da Ivan Cotroneo, al posto dei soliti Gianni Romoli e Tilde Corsi), quindi più fluidi: Preziosi, presenza fugace ma basilare nel racconto, si dimostra convincente, Scamarcio, sdoganato dai tempi mocciosi, si conferma interprete sensibile, anche se a volte troppo incolore e "passivo".
In definitiva, un cast in stato di grazia, impreziosito dalle presenze colorite e stereotipate (forse eccessivamente, ma perdoniamo Ozpetek vista l'ilarità che suscitano. E poi, chi non ha mai incontrato nella vita reale ragazzi così?) degli amici romani di Tommaso/Scamarcio, piombati nella casa natìa del ragazzo, portando scompiglio e ambiguità.
Oltre alle loro, le scene più divertenti sono quella nel negozio di borse, in cui Savino e Ricci incontrano una pettegola compaesana, e quella in cui, sempre la zia Ricci, offre uno sciroppo particolare alle due nipotine in carne.
Commovente la scena finale della nonna, in cui si abbuffa di dolci, e punte di genialità raggiunge il finale vero e proprio, d'ispirazione felliniana, in cui vivi e morti si ricongiungono in una grande scena danzante, lasciando da parte un po' di orgoglio e prestando più attenzione ai cari che si trovano intorno ad ognuno di noi.
Come sempre azzecatissima la colonna sonora, con la trainante "50mila" cantata da Nina Zilli, che restituisce tutta l'atmosfera e il sapore di un racconto magico e veritiero al tempo stesso, che in altri Paesi parrebbe anacronistico ma che in Italia ancora rimane attualissimo, purtroppo.
Consoliamoci, senza essere banali: l'amore, alla fine, è l'unico che conta, anche se non viene realizzato pienamente. Gli affetti familiari, contraddittori, nocivi, ma anche quelli più sentiti, plasmano e caratterizzano, nel bene e nel male, ciascun individuo.
Alla fine, comunque, tutto ci viene restituito, anche ciò che avevamo lasciato indietro.
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