sabato 28 febbraio 2009

I Love Shopping


"Il Diavolo veste Prada" aveva mordente, una storia brillante e Meryl Streep.
"Sex & the City"
l'appeal delle quattro protagoniste, il fanatismo della serie e Samantha.

Qui la costumista è la stessa dei due film (sua santità, la mitica Patricia Field), e si vede.

Per il resto: la sceneggiatura è banalotta (sicuramente il libro è tutt'altra cosa), la regia insipida e piatta, le gag un po' telefonate ed il meccanismo 'redazione-collega bastarda-capa fashion-rinuncia ai propri valori-ragazzotto piacente-scelta morale che riporta sulla retta via' ha sinceramente stancato.
Però Isla Fisher è divertente e spigliata quanto basta, Hugh Dancy è belloccio e la scena finale con i manichini animati che applaudono è già un cult.
Attendiamo il sequel.

giovedì 26 febbraio 2009

Pedro Is Back

Finalmente un assaggio, seppur minuscolo, della nuova opera del Maestro spagnolo, il genio Almodóvar, colui che ci ha regalato perle indimenticabili come "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", "Tutto su mia madre", "Parla con lei", "La mala educación" e "Volver", solo per citarne alcune.
Senza dubbio uno dei registi più importanti del Novecento, già dalle prime immagini del nuovo film "Los Abrazos Rotos" si intravede il sapore di tragedia amara, di grandi performances e di splendidi ruoli, come sempre cuciti perfettamente addosso alle sue attrici/muse (Penélope Cruz su tutte, alla quarta collaborazione con il suo mentore).
Non stiamo nella pelle.


mercoledì 25 febbraio 2009

Come Eravamo

L'altra notte, durante il Red Carpet degli Oscar, notiamo questa signorina.


Nello sforzo di capire chi fosse o per quali meriti si trovasse lì, appare la scritta "sopra l'impressione" che ne rivela l'identità: JENNIFER GREY (sì, proprio quella che faceva l'angelo con Patrick Swayze).
Ora, nessuno potrà mettere Baby in un angolo, ma sotto il bisturi del chirurgo eccome, e parecchie volte anche.
Basiti e sconcertati, domani sera, alle 21.10 su Italia1, riguarderemo doverosamente e in religioso silenzio "Dirty Dancing", per ricordarci della vera Jennifer e non di questo triste esperimento di Extreme Makeover.

lunedì 23 febbraio 2009

La Notte degli Oscar: la Cerimonia

Ore 02:30. Kodak Theatre completamente rinnovato: palco con pedana circolare, platea raccolta a semicerchio per un'atmosfera più intima, un arco sovrastante con centinaia di migliaia di cristalli, lampadari, geometrie che riprendono lo stile di Piazza del Campidoglio di Michelangelo, orchestra in fondo anziché sotto al palco. La recessione impone sobrietà e tagli alle spese inutili, ed il tutto si fa più raccolto e scorrevole.
Hugh Jackman è un mostro del palcoscenico: dopo una breve, brillante introduzione (scherzando sul suo ruolo di australiano in "Australia"), biasimando proprio la crisi economica e la necessità di risparmiare, si esibisce in uno straordinario numero musicale nel quale ricrea gli ambienti di tutti i film nominati, dalla postazione del "Millionaire" al ring di "The wrestler", dal panchetto con megafono di "Milk" alla linea della vita al contrario di Benjamin Button.
Eccelse la voce e la presenza scenica dell'attore di Wolverine, non riusciamo a credere alla sua eterosessualità (più che altro io, Susie dice che almeno uno bello e bravo dobbiamo lasciarlo anche a loro!). Il Tony Award vinto qualche anno fa adesso si spiega completamente. Bravissima anche Anne Hathaway, simpaticamente presa dalla sua poltrona e portata sul palco per la parodia del film "Frost/Nixon", nella quale lei sfoggia un'ottima voce (quindi tra poco la vedremo in un musical). Standing ovation per il presentatore australiano alla fine del suo show di presentazione delle pellicole in gara: davvero originale, ironico ma allo stesso tempo d'effetto.

Voto: 10.


Già si respira un'atmosfera di totale rivoluzione, ed infatti ne ho la conferma durante la consegna del primo premio della serata, quello per la Migliore Attrice Non Protagonista: il gigantesco video-wall proietta un filmato (adoro adoro adoro queste operazioni rimembrative) delle passate vincitrici di tale categoria, con i loro discorsi di ringraziamento pieni d'emozione e di lodi, per poi dividersi magicamente in 5 pannelli verticali, dietro ad ognuno dei quali sta un'attrice non protagonista storica, più precisamente: Eva Marie Saint ("Fronte del Porto", 1954), Whoopi Goldberg ("Ghost", 1990), Goldie Hawn ("Fiore di cactus", 1969), Anjelica Houston ("L'onore dei Prizzi", 1985) e Tilda Swinton ("Micheal Clayton", 2007). La loro apparizione genera nel pubblico un'altra standing ovation e a me e a Susie un'autentica meraviglia e trasecolamento nel vedere cotanto talento riunito su un unico palco, il modo in cui sono entrate, la magia ed il lustro che solo gli Oscar ed il loro sfrenato meccanismo sanno regalare. Sorpresa delle sorprese, ognuna di loro introduce un'attrice nominata, descrivendo la sua performance e celebrando degnamente la categoria "recitazione", come forse non era mai stato fatto in tempi recenti. Riconoscere singolarmente il merito è importantissimo e basilare per la cerimonia, e chiunque abbia partorito tale idea è un genio.
Whoopi, leopardata e con occhiali da sole, ironizza sul ruolo da suora di Amy Adams, mentre Goldie Hawn, insieme alla Loren, è la più fulgida testimonial del bisturi della serata.
Al termine dei 5 elogi, Tilda Swinton apre la fatidica busta e pronuncia il nome di Penélope Cruz, che sale emozionatissima sul palco per ritirare l'agognata statuetta e ricordare, tra gli altri, il suo mentore-pigmalione Pedro Almod
όvar, che ringrazia per le occasioni che le ha regalato durante gli anni.


Diciamo che non abbiamo esultato per questo premio: nonostante la performance della Cruz sia validissima e dia al film "Vicky Cristina Barcelona" una marcia in più, un Oscar è eccessivo ed avremmo visto meglio Viola Davis o Taraji P.Henson al suo posto.

Ma tant'è, il viaggio è appena iniziato e subito arrivano Tina Fey e Steve Martin, esilaranti, per premiare la categoria Miglior Sceneggiatura, Originale e non: nel primo caso la vittoria spetta allo splendido script di Dustin Lance Black per "Milk" (gaudio e felicità!).
Il giovanissimo autore (34 anni, ma ne dimostra dieci di meno) sale visibilmente commosso sul palco, regalando uno dei discorsi più sentiti, importanti ed emozionanti della serata: ricordando la sua parabola di omosessuale, dalle scuole mormone fino alla scoperta di Harvey Milk, lancia un messaggio a tutti i ragazzi e ragazze, gay e lesbiche, che si sentono fuori posto, emarginati e non accettati. Parte un applauso anche a noi, vedendo quanto le cose siano cambiate se chi vince l'Oscar può parlare serenamente di omosessualità e l'intero teatro lo applaude fragorosamente. Questa cerimonia non poteva iniziare meglio.
Voto al discorso: 10+.

La Miglior Sceneggiatura Non Originale se l'aggiudica invece "Slumdog Millionaire", il primo di una lunga serie di statuette, come vedremo in seguito. Qui avrei visto meglio "Doubt", ma gli indiani sono favoriti quest'anno.
"Wall-E" vince (scontatamente) il premio come Miglior film d'animazione, preceduto da una presentazione di tutte le pellicole animate dell'anno, altro esempio di celebrazione e importanza data ad ogni categoria.
Sottolineando il ruolo strategico ed essenziale di tutti gli elementi di un film, oltre che per dare un aspetto variegato ed evocativo alla cornice del teatro, ecco che sul palco vengono allestiti mini-set e scenografie per rappresentare i premi prettamente tecnici, quali Direzione artistica, Costumi, Trucco, ecc.
Il risultato è sicuramente valido e svecchia una cerimonia tradizionalmente piuttosto austera e rispettosa dell'etichetta (un paradosso vista la sobrietà richiesta), rinnovamento testimoniato anche dalla divertente clip stile "Movie Awards" che vede coinvolti i talenti comici di James Franco e Seth Rogen, l'imitazione di Joaquin Phoenix da parte di Ben Stiller (che ho capito solo il giorno dopo scoprendone il significato alla radio) e, soprattutto, il ritorno alle origini del più puro ed emblematico spettacolo da Oscar Show: il Musical.

Hugh Jackman, superando se stesso, si presenta in marsina, cilindro e bastone per lanciarsi in una rievocazione strepitosa dei più famosi momenti del genere che ha fatto la storia hollywoodiana, da "Singin' in the rain" a "Chicago", da "West Side Story" a "Grease", passando per "Hairspray", "Dreamgirls", "Evita" e "Mamma Mia!" (il fenomeno dell'anno), coadiuvato dal talento straordinario di Beyoncé, in rosso, applauditissima, e dagli emergenti Zac Efron, Vanessa Hudgens, Dominic Cooper e Amanda Seyfried (tutti bravi ed in parte), in uno spettacolo (ideato e coreografato da Buz Luhrmann, e si vede) da standing ovation (l'ennesima), che celebra la rinascita del musical come impronta preponderante del cinema odierno. Straordinario.


Per il premio al Miglior Attore Non Protagonista, ecco che si raccolgono sul palco altri 5 celebri vincitori storici: Joel Grey ("Cabaret", 1972), Kevin Kline ("Un pesce di nome Wanda", 1988), Alan Arkin ("Little Miss Sunshine", 2006), Christopher Walken ("Il cacciatore", 1979)e Cuba Gooding Jr. ("Jerry Maguire", 1996).
La statuetta va, secondo le previsioni, al compianto Heath Ledger per la sua pazzesca interpretazione in "The Dark Knight" (secondo attore, dopo Peter Finch, a vincerla postuma), ed il momento è uno dei più felici, ma amari al tempo stesso, della serata. Ritirano l'Oscar il padre, la madre e la sorella di Heath, ringraziando l'Academy per l'onore tributato al giovane attore per il quale la recitazione era tutto, scomparso davvero troppo presto e consumando la sua vita velocemente ed intensamente. Occhi lucidi tra la folla, mentre da parte mia, oltre alla grande gioia mista a tristezza, c'è la frustrazione del mancato Oscar per "Brokeback Mountain", che Heath meritava in pieno e che avrebbe potuto ritirare ancora da vivo.
Ma comunque meglio tardi che mai.



La serata procede velocemente, con i premi a "The curious case of Benjamin Button" nelle categorie Direzione Artistica, Trucco ed Effetti Visivi (più che meritati), ma "Slumdog Millionaire" recupera largamente con la Miglior Fotografia, gli Effetti Sonori ed il Montaggio, mentre "The Dark Knight" si aggiudica la seconda statuetta per il Miglior Sonoro.
Dopo l'Oscar umanitario a Jerry Lewis, per il suo impegno nella causa dei bambini malati, è la volta della categoria Colonna Sonora: l'orchestra esegue brevemente i cinque pezzi candidati per le migliori musiche, successivamente arrivano sul palco Alicia Keys (secondo Susie indossava una parrucca ed era uguale alla Barbie nera) e Zac Efron per premiare la Miglior colonna sonora originale, che va a "Slumdog Millionaire".
Poi è il momento dell'esibizione delle migliori canzoni originali: della categoria fanno parte ben due brani tratti da "Slumdog Millionaire" e uno da "Wall-E".
Per il film di Danny Boyle canta il compositore e autore dei testi A.R.Rahman (considerato il Mozart indiano), in una performance dal sapore fortemente etnico, con tamburi, acrobati, ballerine e chi più ne ha più ne metta, per la perfetta dimostrazione dell'avanzata dell'Asia nei costumi e nella cultura occidentali. Le canzoni sono "O Saya" e "Jai Ho", quest'ultima già utilizzata da Garrison in una delle sue migliori coreografie di Amici 9 (ed infatti pensavamo che da un momento all'altro arrivassero Leon, José ed Amilcare con i loro gonnelloni stile tovaglia da campeggio).
Lo spettacolo, sfarzoso e coinvolgente, porta nel teatro una ventata bollywoodiana, ormai cifra distintiva della serata. Ed infatti, dopo la performance di John Legend nella canzone "Down to Earth" tratta da Wall-E (scritta da Peter Gabriel, che non ha voluto esibirsi in quanto la scaletta prevedeva un taglio di 1 minuto e mezzo al brano, davvero snob e cafone l'ex Genesis) con un bel coro gospel, anche il premio per la Miglior Canzone Originale va a "Slumdog Millionaire" (proprio per "Jai Ho"), che vince la sesta statuetta della serata (superando in numeri i vincitori delle edizioni passate: "Million Dollar Baby", "The Departed" e "No Country For Old Men" arrivarono in totale a 4 Oscar, mentre "Crash" fece peggio con soli 3) distaccando il suo più temibile avversario,
"The curious case of Benjamin Button", e proiettandosi (ormai senza più alcun dubbio) verso l'en-plein con i premi più importanti. Rispettata quindi la parabola di questa stagione, che vedeva il piccolo film indipendente, il Davide di Mumbai, battere puntualmente il Golia "Button" ad ogni premiazione.
Miglior Film Straniero (categoria seguita con malumore per l'ancora bruciante delusione di "Gomorra" che, come mi fa giustamente notare Susie, in confronto a "La bestia nel cuore", candidato 3 anni fa, è nettamente migliore) viene decretato "Departures", pellicola proveniente dal Giappone (a sopresa, contro i favoritissimi "Waltz with Bashir" e "La classe"), e seguiamo divertiti il discorso di ringraziamento in una lingua ibrida americana/giapponese ("Shank you" invece di "Thank you").
Queen Latifah, sempre bravissima, si esibisce in una canzone che accompagna la clip "In Memoriam", che ogni anno ricorda gli artisti scomparsi durante gli ultimi 12 mesi, tra i quali svettano i compianti Anthony Minghella, Sidney Pollack (entrambi produttori di "The Reader") ed il grande Paul Newman.
Arrivano i premi più importanti: Reese Witherspoon presenta la categoria Miglior Regia, che va (ovviamente) a Danny Boyle per "Slumdog Millionaire", il quale, stringendo la statuetta, comincia a saltare euforicamente sul palco, tra gli applausi concitati del cast del film, ancora increduli di trovarsi lì.
Per la categoria Miglior Attrice Protagonista arrivano Sophia Loren ("La ciociara", 1961), Shirley McLaine ("Voglia di tenerezza", 1983), Nicole Kidman ("The Hours", 2002), Halle Berry ("Monster's Ball", 2001) e Marion Cotillard ("La vie en rose", 2007), queste ultime tre splendide in altrettanti meravigliosi abiti, soprattutto l'attrice francese, vincitrice lo scorso anno.
La Loren, sfoderando un inglese abbastanza buono (ma la cadenza di Pozzuoli si fa sentire) introduce la performance della Streep, che orgogliosa la ringrazia, mentre la Kidman tesse le lodi di Angelina Jolie (curioso notare come in tali manifestazioni tutte si vogliano bene e si ammirino l'un l'altra).
Ma l'Oscar va a Kate Winslet, ed era l'ora, viste le 5 nominations andate a vuoto in passato. Estremamente emozionata, si rivolge alla Cruz riprendendo la sua frase dello svenimento sul palco, e dedica il premio ai suoi genitori (che non trova tra la folla e a cui chiede di fischiare per trovarli), al marito Sam Mendes e ai produttori Minghella e Pollack, entrambi scomparsi. Raggiante e piena di classe, l'attrice inglese è stata finalmente premiata dall'Academy dopo 13 anni (nel 1996 la prima nomination, per "Ragione e Sentimento"): il suo talento è innegabile e siamo sicuri che non sarà l'unico Oscar che sfoggerà sul camino di casa.


Detto ciò, confesso che, prioritariamente, tifavo per Meryl Streep e la sua gigantesca performance ne "Il dubbio", ma quest'anno le prove delle attrici sono state molte e tutte di alto livello.

Altra magnifica cinquina di attori, stavolta per il premio al Miglior Attore Protagonista: Adrien Brody ("Il Pianista", 2002), Robert De Niro ("Toro scatenato", 1980), Micheal Douglas ("Wall Street", 1987), Anthony Hopkins ("Il silenzio degli innocenti", 1990) e Ben Kingsley ("Gandhi", 1982) annunciano le nominations per il premio meno scontato della serata.
Susie ed io, leggendo i pronostici prima dell'evento, eravamo ormai rassegnati nel veder vincitore Mickey Rourke
e le sue labbra a canotto (i bookmakers lo davano favorito con il 51% delle chance), ma Micheal Douglas (che amerò sempre d'ora in poi) legge il nome di Sean Penn!
Urla e salti sul divano, balletto della felicità e abbraccio, siamo letteralmente impazziti, di gioia e di sorpresa, per l'Oscar a Penn-Milk e per tutto ciò che questa performance ed il relativo premio significano, soprattutto di questi tempi. Con la moglie, Robin Wright Penn, in lacrime, ed accompagnato da un'altra, lunga, standing ovation, Sean sale sul palco e ritira per la seconda volta la statuetta (già vinta nel 2004 per "Mystic River"), pronunciando il discorso più "politico" della serata, invitando tutti coloro che hanno votato contro i matrimoni gay a rivedere le loro scelte e a biasimare il loro comportamento vergognoso, invocando uguali diritti per tutti (altro fragoroso applauso e lacrime dello sceneggiatore Lance Black) e dicendosi orgoglioso di vivere in un Paese che elegge un presidente come Obama e che permette agli artisti, nonostante le avversità, di compiere scelte coraggiose. Grandioso.
Voto: 11.



Dopo questo grande momento, io e Susie siamo certi che, tornato a casa, Mickey Rourke si suiciderà.
Infine, come da copione, l'ultimo premio, quello per il Miglior Film, viene consegnato da Steven Spielberg al pigliatutto "Slumdog Millionaire", che con 8 statuette raggiunge film come "Via col vento", "Da qui all'eternità", "Cabaret", "Gandhi" e "Amadeus" e supera in numeri grandi recenti vincitori come "Schindler's List", "Shakespeare in love" (7 Oscar ciascuno) e "Chicago" (6 Oscar).
Si è premiato, tra le altre cose, il miglior rapporto costo di produzione-incassi, oltre che ovviamente la storia edificante (e a lieto fine) e la messa in scena, semplice ma d'effetto.

Incredibilmente abbiamo resistito fino alle 06:10, ora in cui Hugh Jackman saluta e dà la buonanotte a tutti. Di caffè, alla fine, ne abbiamo bevuto solo una tazza, e andiamo a letto soddisfatti soprattutto per Penn che, in una delle edizioni più gay-friendly della storia, ha simboleggiato l'apertura di orizzonti di una società, quella americana, ancora piena di contraddizioni ma pronta e indirizzata sulla giusta strada del rinnovamento e dei diritti civili per qualunque cittadino, mentre nel nostro Paese canzoni che parlano di ex-gay arrivano seconde al Festival più importante della musica italiana (vabbè), e nel quale non si riesce a raggiungere uno straccio di legge che tuteli le coppie omosessuali, scadendo nella più totale inciviltà.
Thank you Academy Awards, per essere sempre un passo più avanti rispetto alla retrograda società in cui ci troviamo, testimoniando prima di chiunque altro un trend positivo e progressista.
Alla prossima!

La Notte degli Oscar: Glamchronicle

Ore 23:45. Gli animi e le membra sono pronti, emozionati e ben temprati dalle scorte di caffè e cibo (Gocciole Extra-Dark in primis, product placement, vabbè) predisposte per la prestigiosa occasione, nel mio caso radicata abitudine da ormai 4-5 anni (ma ogni volta come fosse la prima), nel caso di Susie novità assoluta (stoica resistenza da invidiare): la diretta tv dell'81esima edizione degli Academy Awards, maratona notturna seguita con cuore palpitante, occhio critico ed infantile stupore sul mio divano, con pronostici alla mano (quasi perfettamente azzeccati, tranne 4 o 5 categorie).
Ore OO:OO (le 3 p.m. a Los Angeles). Sintonizzati su E!Entertainment, immancabile e perfetto veicolo di illustre divismo e sontuosa frivolezza che ci trasborda sul leggendario tappeto rosso (Susie: "Ma quanta gente c'è? Peggio del Carnevale di Viareggio, potrebbe essere anche di un altro colore e nessuno se ne accorgerebbe!"), insieme a Ryan Seacrest e a Giuliana Depandi (più quell'altro di Fashion Police con i capelli ARGENTO).
Prima ad arrivare, l'inutile Miley Cyrus (invitata solo perché "Bolt" che lei doppia è candidato come Miglior Film d'Animazione), che a 16 anni è accompagnata dai genitori e presumiamo sia venuta solo per la passerella e poi a nanna, dopo aver riconsegnato il vestito da Prom che indossava (voto: 4 per l'abito, 0 per la faccia).
Di tutt'altra pasta Amy Adams, splendida in un Carolina Herrera rosso (voto: 7½, la collana era fin troppo kitsch, ma lo stile c'è tutto) e Viola Davis in look impero dorato (voto: 7), mentre Taraji P.Henson (voto: 6, un po' troppo sposina) e Penélope Cruz (voto: 6½, l'acconciatura non era il massimo) non ci hanno convinto fino in fondo con questi colori panna, tra l'altro gettonatissimi durante la serata.
Andando avanti, le sorprese sgradite sono molte: Amanda Seyfried, rivisitando gli orridi anni '80 (sono finiti per una ragione, tesoro!), sfoggia un look da pacco regalo che la proietta direttamente tra i crimini di moda della serata (voto: 2).
Per non parlare di Sophia Loren, che dopo il danno della chirurgia plastica, il decolleté strabordante a 76 anni suonati (ma la dignità?) e l'accento napoletano ancora incalzante, non indovina neanche l'abito, un tentativo di balze e sbuffi malriuscito, assolutamente da evitare ad una certa età (voto: 2). Invece Meryl Streep, che è notoriamente un'anti-moda, qui perlomeno rimane sobria in Alberta Ferretti, anche se il colore grigio topo non le dona (voto: 5
).
Decisamente migliori Sarah Jessica Parker, con marito fedifrago al seguito, in Dior (voto: 8, anche per il coraggio di riprendersi quella ciofeca brutta di Matthew Broderick, dopo che l'ha anche cornificata, complimenti Carrie!) e Anne Hathaway, sempre radiosa ed elegante, in Armani Privé (voto: 8, classe da vendere), le migliori della serata insiema ai Brangelina (voto: 8 ad entrambi, ormai sono inscindibili), impeccabili, superboni e superdivi, non c'è niente da fare.
All'apparizione di James Franco abbiamo avuto un sussulto: non sappiamo come mai, saranno stati i capelli nero pece scompigliati o l'aria assonnata ed il colorito pallido, ma aveva perso qualunque appeal conquistato con "Milk" (in cui è più che gradevole in ogni scena). Susie, deluserrima: "Perché è brutto? Quindi è bello solo nei film perché lo photoshoppano?!?". Davvero un peccato.
Certo, un adone in confronto a Mickey Rourke, il peggior look maschile della serata, la conferma che gli uomini non hanno la strada spianata e che non basta scegliere uno smoking qualunque per fare bella figura: se propendi al genere gangster/cameriere con quella faccia gonfiata, il ciondolo con la foto del tuo chihuahua da poco trapassato (era il suo migliore amico...) in bella vista e gli occhiali da sole perenni anche dentro il Kodak Theatre, non hai speranze e non meriti neanche di vincere (voto: 1).
Piuttosto pessima, ahimè, pure Beyoncé, strizzata in un abito nero con gigantesche e pacchiane stampe floreali, una fantasia degna di Chateau D'Ax (voto: 4). Le fa compagnia l'altrettanto ignobile (ci domandiamo ancora cosa ci facesse lì, e cosa abbia combinato tra "Settimo Cielo" e "Matrimonio all'inglese") Jessica Biel, in Prada ed oscene calzature (voto: 4½).
Chiudono il cerchio, la quasi salva Marisa Tomei, abituata a look ben peggiori (voto: 5½, l'effetto trincetto e geometrie fa troppo album da disegno) e Kate Winslet, mezza delusione in un abito Yves Saint Laurent, che non rende giustizia alla sua radiosità a causa dei colori troppo lugubri ed un velo/tendina che la invecchia; ma i capelli stile "Maria alla finale di Sanremo" (Susie dixit) hanno il loro fascino (voto: 6½ per il carisma e mezzo punto in più perché dicevano che era senza marito all'inizio, ma poi si è palesato, e non potevo cambiarlo).
E ora, tutti dentro! Inizia la cerimonia!

venerdì 20 febbraio 2009

Oscar Predictions

Ci siamo!
Tra poco più di 62 ore prenderà il via l'81esima edizione degli Academy Awards, con tutto il suo spettacolare, glamourous, frivolo e sfizioso circo.
Riflettori puntati sulla notte più importante dell'anno per quanto riguarda il cinema e lo spettacolo, che lo si voglia o meno. Il tappeto rosso è pronto a risplendere dell'aura divistica delle star che vi si appropinqueranno (i Brangelina in primis), sfoggiando nuovi abiti, nuove acconciature e nuovi lifting.

Un meccanismo oliato e regolato alla perfezione che in tanti anni non ha perso un briciolo del clamore e del suo pazzesco appeal, per milioni e milioni di telespettatori in tutto il mondo.
Uno di essi, da anni attaccato allo schermo per l'intera durata dello show, facendo le ore piccole e sfidando stoicamente la propria resistenza, con una buona riserva di caffè e schifezze da sgranocchiare per tenersi sveglio e pimpante, ovviamente sarà lì, al solito posto: divano, carta e penna, pronostico (vedi dopo) alla mano, pronto ad essere testimone dell'illustrissima ed avvincente corsa alle statuette, documentando gli strafalcioni di look delle attrici, degni della Fashion Police, assistendo in diretta assoluta alla gioia dei vincitori e (ancor più interessante) all'orrendo disappunto di coloro che vengono lasciati a mani vuote ma che, per ragioni di etichetta, nel momento in cui i 5 magici pannelli li inquadrano, devono fingere entusiasmo e sfoggiare sorrisi a 45 denti, più finti del naso di Patty Pravo, per il loro fortunato collega, a cui tirano macumbe e contro il quale, nell'after-party, eseguiranno riti vodoo per far sì che la sua carriera, dopo la vittoria, sia un autentico disastro (per alcune ha funzionato: Mira Sorvino, Gwyneth Paltrow e Hilary Swank sono scomparse o fanno filmetti da cassetta).
Un perfetto esempio della posticcia contentezza del nominato perdente e del giubilo più contagioso di chi arriva a stringere nelle mani l'ambita statuetta (in questo caso anche per motivi che vanno oltre il cinema e arrivano al riconoscimento di uguaglianza delle persone di colore) è quello dell'edizione targata 2002 nella quale, rispettivamente, la superfavorita Nicole Kidman (nominata per "Moulin Rouge!") rimane di stucco, ma da brava attrice subito si congratula applaudendo, e Halle Berry (la prima donna di colore a vincere nella categoria "Miglior Attrice Protagonista", per "Monster's Ball") regala uno dei momenti più belli ed indelebili della storia dell'Academy, al di là del lunghissimo discorso di ringraziamento, per il significato che quell'Oscar rappresentava e per il momento storico in cui ci trovavamo (da pochi mesi si era consumata la tragedia dell'11 settembre).
Un'emozione fortissima che la Berry non si nega di mostrare, aprendo una porta, dopo 74 anni (dal 1928, prima edizione degli Academy Awards), che da pochi mesi è stata nuovamente spalancata dall'elezione di Obama.


Dividendo i pronostici in due categorie ("Chi vincerà" e "Chi dovrebbe vincere"), di seguito la mia personale lista di potenziali vincitori, secondo i gusti dell'Academy ed i miei:

BEST ACTRESS IN A SUPPORTING ROLE
Vincerà: Viola Davis in "Doubt" (o Penélope Cruz in "Vicky Cristina Barcelona")
Dovrebbe vincere: Taraji P. Henson in "The Curious Case of Benjamin Button"

BEST ACTOR IN A SUPPORTING ROLE
Vincerà: Heath Ledger in "The Dark Knight"
Dovrebbe vincere: Heath Ledger in "The Dark Knight"

BEST ACTRESS IN A LEADING ROLE
Vincerà: Kate Winslet in "The Reader"
Dovrebbe vincere: Meryl Streep in "Doubt"

BEST ACTOR IN A LEADING ROLE
Vincerà: Mickey Rourke in "The Wrestler"
Dovrebbe vincere: Sean Penn in "Milk"

BEST ADAPTED SCREENPLAY
Vincerà: Simon Beaufoy per "Slumdog Millionaire"
Dovrebbe vincere: John Patrick Shanley per "Doubt"

BEST ORIGINAL SCREENPLAY
Vincerà: Dustin Lance Black per "Milk"
Dovrebbe vincere: Dustin Lance Black per "Milk"

BEST DIRECTOR
Vincerà: Danny Boyle per "Slumdog Millionaire"
Dovrebbe vincere: Gus Van Sant per "Milk" (o David Fincher per "The Curious Case of Benjamin Button")

BEST PICTURE
Vincerà: "Slumdog Millionaire"
Dovrebbe vincere: "Milk"

lunedì 16 febbraio 2009

E Il Testo Fu

INTRO:
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
1^ STROFA:
Luca dice: prima di raccontare il mio cambiamento sessuale volevo chiarire
che se credo in Dio non mi riconosco nel pensiero dell’uomo
che su questo argomento è diviso,
non sono andato da psicologi psichiatri preti o scienziati
sono andato nel mio passato ho scavato e ho capito tante cose di me
mia madre mi ha voluto troppo bene un bene diventato ossessione
piena delle sue convinzioni ed io non respiravo per le sue attenzioni
mio padre non prendeva decisioni ed io non ci riuscivo mai a parlare
stava fuori tutto il giorno per lavoro
io avevo l’impressione che non fosse troppo vero
mamma infatti chiese la separazione avevo 12 anni non capivo ben
mio padre disse è la giusta soluzione e dopo poco tempo cominciò a bere
mamma mi parlava sempre male di papà
mi diceva non sposarti mai per carità
delle mie amiche era gelosa morbosa
e la mia identità era sempre più confusa
RITORNELLO:
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
2^ STROFA:
sono un altro uomo ma in quel momento cercavo risposte
mi vergognavo e le cercavo di nascosto
c’era chi mi diceva “è naturale”
io studiavo Freud non la pensava uguale
poi arrivò la maturità ma non sapevo che cos’era la felicità
un uomo grande mi fece tremare il cuore
ed è li che ho scoperto di essere omosessuale
con lui nessuna inibizione il corteggiamento c’era
e io credevo fosse amore sì
con lui riuscivo ad essere me stesso poi sembrava
una gara a chi faceva meglio il sesso
e mi sentivo un colpevole prima o poi lo prendono
ma se spariscono le prove poi lo assolvono
cercavo negli uomini chi era mio padre
andavo con gli uomini per non tradire mia madre
2° RITORNELLO:
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
SPECIAL:
Luca dice per 4 anni sono stato con un uomo
tra amore e inganni spesso ci tradivamo
io cercavo ancora la mia verità
quell’amore grande per l’eternità
poi ad una festa fra tanta gente
ho conosciuto lei che non c’entrava niente
lei mi ascoltava lei mi spogliava lei mi capiva
ricordo solo che il giorno dopo mi mancava
questa è la mia storia solo la mia storia
nessuna malattia nessuna guarigione
caro papà ti ho perdonato
anche se qua non sei più tornato
mamma ti penso spesso ti voglio bene
e a volte ho ancora il tuo riflesso
ma adesso sono padre e sono innamorato
dell’unica donna che io abbia mai amato
RITORNELLO FINALE:
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo
Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo

A parte la sfilza imbarazzante di luoghi comuni, stereotipi e cliché da Medioevo, per cui la mamma italiana chioccia ed il padre alcolizzato ed assente possano seriamente incidere sui gusti sessuali del figlio (il 75% del Paese sarebbe gay, secondo tali criteri) qui, comunque vogliano metterla, è palese che la relazione omosessuale, prima di conoscere lei "che lo spoglia" (dei suoi peccati forse?), è raccontata in termini negativi, torbidi, confusi, loschi, sporchi, sfiorando addirittura la circuizione di minore e la pedofilia (volendo essere catastrofici), quando cita prove, assoluzioni e vattelappesca.
Vorrei poi far notare al caro Povia (e all'ormai famigerato Luca) che ricercare sicurezze in Freud sull'omosessualità, nel 2009, è come chiedere consigli sui diritti civili a Mahmud Ahmadinejad.
Oddio, magari è davvero accaduto che, nella perdizione e nella gara a chi "fa meglio il sesso" (in che senso, scusa? Si cronometrano e poi si scambiano i ruoli?), a qualcuno questo possa sembrare talmente insopportabile da "tornare sulla retta via", sposandosi e facendo figli per esorcizzare una situazione familiare disturbante (che poi c'è di peggio, prova ad avere come genitori Albano e la Lecciso, poi mi dici); ma di sicuro in questa Italietta ferma ancora al "ogni guaglione è bello a mamma sua" o peggio a "i ricchioni ed i froci sono invertiti", sicuramente nessuno sentiva il bisogno di sentirsi ribadire quanto ancora siamo indietro sia nella società che (a questo punto) nelle manifestazioni d'arte (??).
Sperando sia solo un caso sporadico, auguro a Povia di fare una bellissima figura al Festival, tanto con una canzone così oscenamente brutta (e non solo per il tema trattato), non può alienarsi il pubblico ed i giurati più di quanto abbia già fatto.
Gay e non, secondo me.

domenica 15 febbraio 2009

The Curious Case of Benjamin Button

L'attesa è stata ampiamente ripagata: il film più nominato di questa edizione degli Academy Awards si rivela un piccolo, grande gioiello del cinema contemporaneo.
Semplice e diretto come lo sguardo del protagonista (un Brad Pitt in stato di grazia, i suoi occhi spaesati e pieni di meraviglia per le mille avventure e per le molteplici strade che percorre, accompagnando dolcemente lo spettatore nel suo fantastico viaggio, sono il perfetto specchio per lo spirito di Benjamin Button, la cui metamorfosi inversa non si compie solo sul suo corpo), ma allo stesso tempo sontuosamente e magistralmente diretto, fotografato e realizzato, attraverso una tecnica di effetti visivi rivoluzionaria e sofisticata, impensabile fino a qualche anno fa. Unita ad un make-up magistrale, il risultato tecnico della pellicola stupisce ma rende anche umana e verosimile l'incredibile storia, non lasciando che la tecnologia computerizzata influisca sulle espressioni ed il calore dei personaggi.
Per questo resta, nonostante sia validissima, in secondo piano nell'impatto visivo ed emotivo, lasciando incisività e ritmo alla narrazione di una vita unica e originale, che attraversa tutti gli stadi dell'esperienza di un essere umano, solamente al contrario, iniziando dalla vecchiaia e finendo con il primo (ultimo) vagito.
Sia melodramma che opera fantastica, love-story e racconto di formazione, questa metafora del tempo che passa, dell'abbandono, della morte, della scoperta di sé, delle persone che ci cambiano per sempre e degli affetti che si incontrano lungo il cammino, di quelli che perdiamo e che non dimentichiamo mai, non si posiziona nettamente in nessuna catalogazione precisa, ed è proprio questo il suo punto forte: David Fincher, regista abituato a ben altri scenari e generi ("Seven", "Fight Club", "Panic Room", "Zodiac") fa centro e riesce nell'intento, stilistico e artistico, di colpire al cuore del pubblico, raccontando con maestria, artificio solenne e lirismo (ma mai ridondante) una storia complessa che si snoda in numerose direzioni, come quelle intraprese dal protagonista.
Merito anche di una straordinaria sceneggiatura, tratta da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald del 1922 e riadattata da Eric Roth, che fa immergere lo spettatore completamente ed incondizionatamente nel meraviglioso mondo di Benjamin Button, appassionandolo e conducendolo accanto a lui nel cammino, anatomicamente, a ritroso.
Attuale in un'epoca in cui ogni individuo è terrorizzato ed ossessionato dall'idea di invecchiare, in cui il bisturi è il simbolo dell'Occidente avanzato e dove la ricerca di punti saldi è resa impossibile dalla precarietà dei sentimenti.
Accettare il proprio destino e soprattutto accettare di lasciarsi amare, sacrificando la propria felicità per il bene altrui, raggiungere la maturità per compiere determinate azioni e avere la saggezza di sapere quando la vita ci sta chiedendo troppo: tutto questo ci viene mostrato attraverso uno sguardo pop, pittorico, oscuro e labirintico.
Inoltre la vita di Benjamin Button segue passo passo i fatti più salienti di oltre 50 anni di storia americana, raffiguarando un Paese martoriato ma in continua rinascita: egli viene dato alla luce alla fine della Prima guerra mondiale, passando poi attraverso la Grande Depressione, gli attacchi a Pearl Harbor ed il primo viaggio dell'uomo sulla Luna. Ed i suoi diari, attraverso i quali, con continui flashback, viene ricostruita la sua esistenza, sono letti dalla figlia ignara sul letto di morte dell'amore della sua vita, nella notte in cui l'uragano Katrina si abbattè su New Orleans, causando una delle tragedie più scioccanti che la storia moderna ricordi.
Accanto all'interpretazione mimetica (ed impegnativa) di Brad Pitt, risplendono due attrici, diversissime tra loro, ma ugualmente efficaci: Cate Blanchett, nel ruolo dell'amata Daisy, e Taraji P.Henson, in quello della madre adottiva di Benjamin.
La prima, sempre eccezionale, offre una prova radiosa e risulta convincente e magnifica dai 20 fino agli 80 anni, dall'euforica giovinezza alla canizie e alla malattia terminale. Peccato non vederla nella cinquina delle migliori attrici protagoniste, ma quest'anno la concorrenza era davvero agguerrita.
Chi ha ottenuto la nomination all'Oscar, invece (oltre a Pitt) è proprio la Henson, come non protagonista, genuina ed eccellente nei panni dell'amorevole Queenie.

Le musiche di Alexander Desplat aggiungono ulteriore pathos e gusto onirico alla vicenda, che, a mio avviso, avrebbe tutti i requisiti (tecnici, stilistici, narrativi, recitativi ed empatici) per far breccia nelle preferenze dei giurati dell'Academy.
In effetti, come non accadeva da qualche anno, qui siamo proprio in presenza del perfetto prototipo di film prediletto dagli Oscar: grande budget, storia universale, protagonisti superdivi (o già baciati dalla statuetta come la Blanchett), ricostruzione impeccabile, ambientazione storica, ampio respiro, durata elevata (166 minuti), gratificazione del pubblico, storia d'amore travagliata, famiglia come nido, temi della morte e dell'abbandono, attori che appaiono invecchiati e trasformati fisicamente ed elevazione morale.
Se non fosse che, a quanto pare, anche quest'anno il favorito è un film indipendente, outsider e molto più realistico e "televisivo" come "Slumdog Millionaire".