lunedì 29 marzo 2010

In Ritardo, Di Nuovo

Quest'anno arrivo tardi a tutti i compleanni delle icone (devo dire che Marzo è un mese fecondo per le cantanti, non dimentichiamo Celine Dion il 30!)
Ieri era il genetliaco di Stefani Joanne Angelina Germanotta, a.k.a. Lady Gaga, il fenomeno pop (e oltre) dell'ultimo anno e mezzo.
Nata solamente 2 giorni prima di me (e quindi me la tiro!!), la divina cantante ha in pochissimo tempo rivoluzionato il mondo della musica, dei videoclip e aperto nuove frontiere nella cultura pop, senza dimenticare il suo impegno per le battaglie civili in difesa della comunità omosessuale.
Come non amarla?
A testimonianza dell'enorme influsso che ha avuto sul mondo intero e di quante persone abbia toccato con la sua musica, con i suoi testi, con il suo look, con la sua stravaganza e con il suo essere sempre se stessa, al di là di ogni convenzione, ecco il bellissimo video che i suoi fans più agguerriti hanno fatto per lei!
HAPPY BIRTHDAY GAGA!


La Mattina al Centro Benessere

Il calderone circolare gorgogliante, meglio conosciuto come la vasca idromassaggio, ospitava da 2 a 10 persone: il bello di questi posti è che si crea una strana forma di intimità traslata, coatta per forza di cose, nella quale può capitare di toccare con il piede o la gamba parti anatomiche indesiderate di sconosciuti, e continuare comunque ad evitare sguardi altrui facendo finta che non ci sia nessuno.
L'imbarazzo, invece, scema all'interno delle varie saune (ce n'erano quattro, in ordine di calore: Biosauna, Mediterraneo, Bagno Turco e Finlandese, seppur quest'ultima, essendo secca, si presentava più sostenibile del terzo, nel quale il rischio liquefazione era altissimo), dove si entra a gruppi di due coppie e l'aria (nel senso di atmosfera, non quella che si respira, umida e pesante) è di gran lunga più leggera e ti puoi pure permettere qualche scambio di battute, tipo "Si muore di caldo", "la parete scotta" o anche l'imperitura "un altro po' e ci si scioglie".
Simpatica l'intrepida lesbicona che si avventura nel percorso a sensori del Bagno Turco, fatto di docce di diversa entità e potenza, che con i suoi urli mascolini ha allietato la breve sosta tra i vapori ustionanti del suddetto.
Discorso a parte per le docce: lì ci entri da solo o con il tuo partner (anche se, paventando la presenza di telecamere, io e Lorenzo ci siamo trattenuti da qualsiasi atto osceno), e sono più spassose delle attrazioni di Gardaland, almeno all'inizio, perché dai nomi sulle porte non sai cosa aspettarti: Doccia Tropicale, Nebbia Fredda, Doccia a Secchiello.
Per quanto riguarda la prima, era un gettito piuttosto normale, un misto tra la pioggia estiva e il monsone thailandese. In definitiva, piacevole.
La seconda ricordava i nebulizzatori dei parchi divertimento, dove uno si diletta a passare varie volte divertendosi più che sul Blue Tornado (che a me, per inciso, fa una paura matta). Qui, in aggiunta, scaturiva una fragrante essenza di menta, forse a ricordare un mattino primaverile, fresco e pungente, e la luce si faceva bluastra.

Le dolenti note arrivano con la terza doccia, quella a Secchiello: di fronte a noi, posto in alto, si presentava un vero secchio di legno old-fashioned (tipo quelli di "Topolino Apprendista Stregone" in "Fantasia", per intendersi) ed un'inquietante catenella penzolante.
Ora, qualcuno dirà: "la spiegazione all'inizio, che illustrava le varie componenti del percorso benessere, accennava ad un'alternanza caldo-freddo, quindi presumo che questa tipologia di doccia dia una sorta di gradevole e delicato refrigerio".

Peccato che, appropinquandomi verso il suddetto secchiello, il mio sciagurato ragazzo tiri la catenella a tradimento e, più spaventosamente di quello contentente sangue di Carrie (non Bradshaw, ma quella di Stephen King), l'infernale paiolo mi rovesci addosso una quantità abnorme di acqua gelida e marmorea, provocando un urlo che ha fatto da contraltare a quello della simpatica lesbicona di cui sopra, da far invidia agli acuti di Mariah Carey.
Magra consolazione, mentre proseguivamo nella nostra paradisiaca alternanza di saune e docce, le urla provenienti dalla sala delle torture (ovvero la Doccia a Secchiello) si facevano sempre più frequenti, facendomi provare una sorta di perverso sadismo nel vedere gli ignari avventori addentrarsi nella stanza sapendo dentro di me a che destino andassero incontro.
L'Area Relax non fa che rispettare, nomen omen, la sua funzione al meglio: dotata di lettini anatomici, musica orientale proveniente dalla filodiffusione, tende che favorivano la penombra in uno scenario rosso rubino, si poteva tranquillamente raggiungere il Nirvana e morire felici.
Senonché dovevamo ancora usufruire del massaggio rilassante, che ormai si profilava superfluo ma allo stesso tempo agognato a dismisura.

Due spigliati giovanotti (uno maschio, l'altra femmina), di bianco vestiti, provenienti dal Pianeta dei Massaggiatori (mi hanno dato questa idea per il fatto che hanno sempre la stessa espressione beata e conciliante, garbata e docile, e quindi non paiono umani) vengono a prelevarci dalla Sauna Finlandese per accompagnarci in due stanze diverse, con un lettino dotato di materasso ad acqua, decorazioni floreali e la solita musica orientale dell'Area Relax, ma con in più dei suoni che ricordavano i lupi della steppa.

Il massaggio dura circa 30 minuti, ma potevano benissimo essere 3 ore, visto lo stato d'incoscienza nel quale sono caduto subito, dopo il massaggio al primo piede.
Finita l'operazione rilassante, la simpatica Massaggiatrice aliena mi dice: "Adesso ti lascio riposare per uno o due minuti, vado a prepararti la tisana e poi ripasso". Della serie, quando torni dovrai farmi alzare con un montacarichi, bella mia!
Stordito come dopo una serie di canne, ma senza la sensazione di fame chimica o pesantezza delle membra, vengo portato in una saletta dove posso degustare un tè verde alla menta, davanti ad una vetrata che mostrava l'altra parte del Centro, cioè quella delle piscine tradizionali.

Sorseggiare quella brodaglia, in accappatoio bianco, dopo le 3 ore più rilassanti della mia vita, e guardare in basso le vasche affollate di marmocchi urlanti, come dentro ad una torre d'avorio insonorizzata, non ha prezzo. Neanche con Mastercard.
Uno si potrebbe abituare ad un siffatto stile di vita.

venerdì 26 marzo 2010

In Ritardo

Ieri Mina ha compiuto 70 anni.
Tutti a scervellarsi su quale sia la sua canzone più bella.

Missione impossibile, ovviamente.
Ma, a distanza di anni, questa canzone ancora non è riuscita ad avere rivali, per me.


Quest'attesa mi sta uccidendo



MADONNA + GLEE: Esiste qualcosa di più gay??
Forse sì: LADY GAGA + GLEE!

È Complicato

Godibile, effervescente e piacevole come la più classica delle commedie sofisticate alle quali ci ha ormai abituato Nancy Meyers.
Nonostante non sia ai livelli di "Tutto può succedere", "È Complicato" ci regala l'ennesima raggiante prova d'attrice di Meryl Streep ("purtroppo" doppiata da Rossella Izzo anziché dalla solita Maria Pia Di Meo, che personalmente preferisco di gran lunga), che non mi stancherò mai di definire la migliore attrice vivente, se non di tutti i tempi.
Riesce a rendere speciale e umano qualsiasi ruolo.
Non che questo non lo sia, vista la familiarità della regista con storie di donne alla soglia della menopausa con problemi di vita affettiva e sessuale.
Gli ingredienti, ben rimescolati, sono più o meno sempre gli stessi, ma la briosità resta ben salda, grazie anche ad un perfetto co-protagonista, Alec Baldwin, mai così divertente, e ad una sceneggiatura brillante e ben dosata.
Probabilmente ridondante a tratti e con qualche sentimentalismo di troppo, in ogni caso il film scivola via come un bicchiere di champagne.
E poco importa se il mondo raffigurato dalla Meyers è quello, idilliaco, dell'alta borghesia statunitense, con figli perfetti, case perfette e vacanze perfette. Finché diverte, le perdoniamo anche questo.
Non perdoniamo però a Steve Martin quella faccia gommosa e tirata, ma cosa diavolo ha fatto???



giovedì 18 marzo 2010

Alice in Wonderland

La complessità intrinseca del racconto di Lewis Carroll viene ingiustamente banalizzata.


Come mai Tim Burton, uno dei registi contemporanei più geniali, in questa occasione abbia rinchiuso nel cassetto l'estro e la creatività più folle che caratterizzano, bene o male, ogni suo lavoro, è un mistero.
Fatto sta che "Alice in Wonderland" altro non è che un prodotto confezionato ad hoc per i nostalgici del cartone animato (che ne usciranno delusi) e per i fautori delle nuove tecnologie, steroidato di tutto il CGI possibile (che non raggiunge nemmeno livelli eccelsi) ed epurato da qualsiasi stravaganza, vista la mano politically correct della Disney.
Piatto, noioso, senza alcun climax degno di nota o punte di intrattenimento spettacolari: il film scorre placidamente nell'indifferenza più totale (un rischio pericolosissimo per una pellicola che si definisce fantastica, ma anche per qualsiasi opera cinematografica in genere), con la stessa espressione monocorde di Alice (Mia Wasikowska più che spaesata, pare annoiata) dipinta sul volto di chi assiste alle sue disavventure.

Un mondo di plastica che non pulsa né passione né entusiasmo, dove i folli ed i matti sono solo misere macchiette e caricature di loro stessi: in modo vergognoso, il Cappellaio Matto di Johnny Depp altro non è che Jack Sparrow miscelato con Willy Wonka, in un pessimo tentativo di aggiornare il suo campionario di "freaks". Ne esce malconcio, senza far divertire né sorprendere.
E il non plus ultra del ridicolo (in senso negativo) lo raggiunge con la cosiddetta "Deliranza", una danza liberatoria che dovrebbe rappresentare la celebrazione della propria unicità, del proprio delirio, ma si rivela fallace.
Depp è un attore assai migliore di così.

Dal canto suo, la Regina Rossa di Helena Bonham Carter potrebbe anche essere interessante, se non altro per la cattiveria pura che la contraddistingue.
Ma al terzo "Tagliatele la testa!" pronunciato, vorremmo soltanto lanciare gli occhialini 3D verso lo schermo nella speranza di farle sgonfiare quell'enorme capoccia.

Il 3D, appunto: alla fine, niente di eccezionale. Si cavalca l'onda del momento, infatti il film non cambierebbe di una virgola proiettato alla vecchia maniera, salvo due o tre scene poco importanti.
Quello che manca realmente, qui, è l'eccentricità vera, palpabile, viscerale, che avrebbe dovuto guidare la mano di Tim Burton alla ricerca di una diversa chiave di lettura, magari aggiornata al nuovo millennio, sul significato dell'essere diversi in un mondo conformista.
Non solo non ci riesce, ma resta lui stesso intrappolato nel conformismo più fastidioso, senza riuscire a dare introspezione al personaggio principale, adagiandosi sugli effetti visivi e mancando l'obiettivo più importante per un film riuscito, far riflettere.
Anche se si è in presenza di fiori parlanti o di draghi sputa-fuoco.

martedì 16 marzo 2010

Imma Be Rocking That Body

Fusi in un unico megamix (i cortometraggi sono la nuova frontiera del videoclip, pare. Citofonare al Telephone di Gaga), i nuovi singoli dei Black Eyed Peas, il primo destinato al mercato americano ("Imma Be", infinitamente più tamarra), mentre il secondo al solo mercato europeo ("Rock That Body", elettronica che spacca) sono truzzaggine allo stato puro.
Quest'anno il gruppo non ha sbagliato un singolo e, se non fosse stato per Lady Gaga, il primato del 2009 sarebbe andato a loro, avendo sfornato un album, "The E.N.D.", praticamente perfetto a livello commerciale.
E la loro coolness non pare estinguersi ancora.


venerdì 12 marzo 2010

Telephone

Non un video, bensì un cortometraggio vero e proprio.
Con le dovute proporzioni, un video così ricercato, complesso e sfaccettato non lo si vedeva dai tempi di Michael Jackson, uno che creava piccoli film con i suoi stupendi video.
Ora, che Lady Gaga non sia alla portata di tutti è chiaro: bisogna avere un certo senso dell'umorismo, ironia e non essere assolutamente dei finti snob, al fine di apprezzarla.
Con questo video semplicemente si è superata, osando e esagerando volontariamente col kitsch, il trash, il barocco: ha messo dentro la Blaxploitation, i B-movies, lo stesso Tarantino (la mitica Pussy Wagon di "Kill Bill"), i catfights e rimandi anche a "Thelma e Louise".
Beyoncé, che compare come featuring (quindi giustamente non è la protagonista), si libera della sua immagine da diva inarrivabile e si prende poco sul serio, dimostrando grande versatilità e sense of humour.
Già nella storia gli occhiali con le sigarette accese ed i bigodini con le lattine di Coca.
Mentre Miss Germanotta si prende una rivincita contro le malelingue, mostrando la sua "pussy" con le guardie carcerarie che esclamano: "I told you she didn't have a dick!".
GENIALE!!!
Madonna spostati e fai posto sul trono, qui si sta riscrivendo la storia del pop!



Precious - Based on the novel "Push" by Sapphire

Duro, difficile, commovente. Mai retorico o banale. Vero e crudo.
Abusi, incesto, violenza, analfabetismo, malattia, istruzione, speranza.
Tutto questo e molto di più nel film-caso dell'anno, a ragione vincitore di vari premi al Sundance Film Festival e di 2 Oscar (sceneggiatura non originale e attrice non protagonista alla superba Mo'Nique, l'orribile madre della protagonista).
Orgoglio della comunità nera, prodotto da Oprah Winfrey e Tyler Perry, è il fiore all'occhiello del cinema indipendente contemporaneo.
Una storia rischiosa, che non tutti avrebbero avuto il coraggio di trasporre per il grande schermo.
Per fortuna l'hanno fatto.
Per aver fatto recitare bene Mariah Carey, poi, si merita ancora più applausi.
Attendiamo una distribuzione italiana al più presto.

giovedì 11 marzo 2010

Gladiator in Nottingham

Pure lo stesso taglio di capelli.
Ci mancava solo che dicesse: "Arcieri, scatenate l'inferno!!"
Per fortuna Cate Blanchett fa sperare che non sia completamente una débâcle.


lunedì 8 marzo 2010

La Notte degli Oscar: the Morning After

Sveglio fino alla fine, per veder trionfare "The Hurt Locker" con 6 statuette: miglior film, miglior regia (finalmente ad una donna!), miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro.
Un trionfo per il film sulla guerra in Iraq, il piccolo "Davide" che ha battuto il kolossal "Avatar", scandalosamente lasciato a quota 3 premi: effetti visivi, scenografia e fotografia.

Parità fino a metà cerimonia, con 3 premi ciascuno, il film della Bigelow ha scancito la sua supremazia con il premio al montaggio e quello alla regia, proclamato da Barbra Streisand, visibilmente soddisfatta di premiare una donna (lei stessa fu molto dura nei confronti dell'Academy quando si vide escludere dalla categoria per i film "Yentl" e "Il principe delle maree"), tanto da esclamare: "The time has come!".

Bigelow, 58 anni ma ne dimostra 40, elegante ed emozionata, abbatte finalmente l'ultimo tabù (era candidato anche Lee Daniels, il primo regista afro-americano ad essere incluso nella cinquina) dopo 82 anni molto maschilisti. E si prende un'enorme rivincita nei confronti dell'ex marito Cameron, deluso di non poter essere un'altra volta il Re del Mondo.



Per il resto, premi prevedibilissimi, sia quelli per gli attori (Jeff Bridges, Sandra Bullock, Mo'Nique e Christoph Waltz, già premiati con Golden Globe e SAG Awards), che per il film d'animazione, "Up", vincitore anche per la struggente e bellissima colonna sonora.
Enorme delusione per "Tra le nuvole", 6 nominations a vuoto, che si è visto portare via anche l'unica papabile della vigilia, quella per la miglior sceneggiatura non originale, andata, a sorpresa, al film-caso dell'anno, "Precious", che in Italia adesso aspettiamo ancor più con ansia.
E anche Tarantino ne esce sconfitto, visto che i suoi Bastardi vincono solo un premio (per Waltz) su ben 8 candidature.

Nel complesso, una cerimonia piuttosto sottotono, di gran lunga più piatta rispetto a quella, scoppiettante, dell'anno scorso, anche a causa della coppia di presentatori, Alec Baldwin e Steve Martin, apparsi piuttosto ingessati nella conduzione e con la consueta apertura dello show, fatta di gag e battute sugli attori candidati, meno divertente e più meccanica di quanto ci si potesse aspettare.
I momenti di puro spettacolo, oltre alla pre-apertura della cerimonia ad opera del bravo Neil Patrick Harris, in puro Hollywood-style, sono stati pochi: il montaggio "Horror", succulenta sequenza che riuniva i migliori film del genere, il momento In Memoriam, con James Taylor alla chitarra (incredibile la lista degli attori deceduti lo scorso anno, vista anche la giovane età, come Brittany Murphy e Patrick Swayze) e la fantastica coreografia sulle 5 colonne sonore nominate, eseguita da un incredibile corpo di ballo in stile hip hop e break-dance.
Fa ancora effetto vedere la Bullock con un Oscar in mano, ma ce ne faremo una ragione, soprattutto dopo aver visto il film.
Per quanto riguarda la Streep, continueremo a sognare. Prima o poi arriverà a quota 3, ne sono certo!




sabato 6 marzo 2010

Oscar: le previsioni

Tra poco più di 24 ore l'82esima edizione degli Academy Awards svelerà al mondo e a noi poveri mortali i vincitori dell'Oscar per le migliori opere del 2009.
Il sottoscritto sarà come sempre in pole position sulla sua postazione oramai tradizionale: il divano.
Sintonizzato su Sky da mezzanotte in poi, carta e penna alla mano, pronto a criticare, maledire e gioire per le varie statuette, mi terrà sveglia l'emozione di vedere sfilare sul red carpet le tante stars e, soprattutto, i magici momenti di proclamazione dei vincitori.
Ecco i pronostici più attendibili ed i miei, personalissimi:

BEST ACTOR IN A SUPPORTING ROLE
-Matt Damon, "Invictus"
-Woody Harrelson, "The Messenger"
-Christopher Plummer, "The Last Station"
-Stanley Tucci, "Amabili Resti"
-Christoph Waltz, "Bastardi Senza Gloria"

VINCERÀ : Christoph Waltz.
VORREI CHE VINCESSE: Christoph Waltz.
Non ho visto le performance di Harrelson e Plummer, ma difficilmente potranno superare la maestria e la bravura dello (fino all'anno scorso) sconosciuto attore austriaco, che per questo ruolo ha sbaragliato la concorrenza vincendo praticamente qualsiasi premio, dal SAG al Golden Globe, passando per il BAFTA.


BEST ACTRESS IN A SUPPORTING ROLE
-Penélope Cruz, "Nine"
-Vera Farmiga, "Tra le nuvole"
-Maggie Gyllenhaal, "Crazy Heart"
-Anna Kendrick, "Tra le nuvole"
-Mo'Nique, "Precious"

VINCERÀ: Mo'Nique.
VORREI CHE VINCESSE: Mo'Nique.
Nonostante non abbia visto il film (non ha ancora una data di uscita italiana, scandalosamente!), la sua performance pare grandiosa, visto anche il difficile ruolo che ha regalato all'attrice di colore (come a Waltz) una pioggia di riconoscimenti. E va anche detto che le altre concorrenti non hanno molte chance: a parte forse la Gyllenhaal, le performance di Farmiga, Kendrick e Cruz non sono meritevoli addirittura di un Oscar.


BEST ACTOR IN A LEADING ROLE
-Jeff Bridges, "Crazy Heart"
-George Clooney, "Tra le nuvole"
-Colin Firth, "A Single Man"
-Morgan Freeman, "Invictus"
-Jeremy Renner, "The Hurt Locker"

VINCERÀ: Jeff Bridges.
VORREI CHE VINCESSE: Colin Firth.
Bridges ha la statuetta già in tasca (o quasi), il suo è un classico ruolo da Academy ed è arrivato alla quarta nomination. Ma la performance di Firth andrebbe premiata ugualmente, per la classe e la bravura di un interprete troppo sottovalutato, che quest'anno ha finalmente avuto i riconoscimenti che merita (Coppa Volpi a Venezia e un BAFTA). Tifo per lui anche per la componente queer, che non guasta mai.


BEST ACTRESS IN A LEADING ROLE
-Sandra Bullock, "The Blind Side"
-Helen Mirren, "The Last Station"
-Carey Mulligan, "An Education"
-Gabourey Sidibe, "Precious"
-Meryl Streep, "Julie&Julia"

VINCERÀ: Sandra Bullock.
VORREI CHE VINCESSE: Meryl Streep.
Manco a dirlo, tifo per la divina. Da troppo tempo (l'ultima volta fu nel lontano 1983) manca da quel palco per tenere in mano la statuetta, visto che la meriterebbe per ogni film che fa. A prescindere. E poi, per quanto possa essere brava (come per "Precious", non si sa quando uscirà in Italia "The Blind Side") mi fa storcere il naso vedere l'Oscar nelle mani della Bullock! Piuttosto preferirei vedere premiata la Mulligan, splendida esordiente.


BEST ORIGINAL SCREENPLAY
-Mark Boal, "The Hurt Locker"
-Quentin Tarantino, "Bastardi Senza Gloria"
-A. Camon e O. Moverman, "The Messenger"
- Joel e Ethan Coen, "A Serious Man"
-Bob Peterson e Pete Docter, "Up"

VINCERÀ: Mark Boal.
VORREI CHE VINCESSE: Quentin Tarantino.
Il film della Bigelow sull'Iraq si prospetta il mattatore della serata, e la sceneggiatura dovrebbe essere tra i premi che vincerà. Ma Tarantino darà filo da torcere, senza dubbio. Anche perché il regista torna ai fasti di "Pulp Fiction" e, con ben 8 nominations, rappresente il terzo incomodo tra i due ex coniugi Bigelow-Cameron. Vedrei bene come vincitori anche i due sceneggiatori di quel gioiello inimitabile che è "Up", anche se le probabilità sono minime.


BEST ADAPTED SCREENPLAY
-N. Blomkamp e T. Tatchell, "District 9"
-N. Hornby, "An Education"
-J.Armstrong, S. Blackwell, A. Iannucci, T. Roche, "In the Loop"
-G. Fletcher, "Precious"
-J. Reitman e S. Turner, "Tra le nuvole"

VINCERÀ : Jason Reitman e Sheldon Turner.
VORREI CHE VINCESSE: Jason Reitman e Sheldon Turner.
Pochi dubbi sulla vittoria del duo (il primo ne è anche il regista) che ha scritto la brillante ed intelligente sceneggiatura dell'ottimo "Tra le nuvole". Anche perché, verosimilmente, sarà anche l'unico Oscar che vincerà, tra i sei per i quali è candidato.


BEST DIRECTING
-James Cameron, "Avatar"
-Kathryn Bigelow, "The Hurt Locker"
-Quentin Tarantino, "Bastardi Senza Gloria"
-Lee Daniels, "Precious"
-Jason Reitman, "Tra le nuvole"

VINCERÀ: Kathryn Bigelow.
VORREI CHE VINCESSE: James Cameron.
L'ex moglie del regista di "Avatar" potrebbe, quasi certamente, essere la prima donna, in 82 anni, a vincere l'Oscar alla miglior regia (prima di lei furono nominate solo altre tre donne nella stessa categoria: Lina Wertmuller, Jane Campion e Sofia Coppola). Sarebbe una bella rivincita per il genere femminile, senza dubbio, anche se personalmente faccio il tifo per il genio di Cameron, creatore dell'Universo di Pandora, un viaggio senza precedenti nella storia del cinema.


BEST PICTURE
-"Avatar"
-"The Blind Side"
-"District 9"
-"An Education"
-"The Hurt Locker"
-"Bastardi Senza Gloria"
-"Precious"
-"A Serious Man"
-"Up"
-"Tra le Nuvole"

VINCERÀ: "The Hurt Locker".
VORREI CHE VINCESSE: "Avatar".
Posso accettare la vincita della Bigelow nella miglior regia (ma fino ad un certo punto), meno nella categoria principale: il miglior film dell'anno è, senza se e senza ma, "Avatar", se si parla di film nel suo significato più primordiale, cioè il potere che ha di trasportarti in un altro mondo e farti compiere un viaggio che non avresti potuto immaginare.
Lo spettacolo puro che il film di Cameron restituisce non può essere snobbato, né l'estasi che ha provocato in tutto il mondo: il più grande incasso mondiale di sempre (oltre 2 miliardi di dollari finora) non è cosa da poco. L'appeal commerciale non è il solo motivo per cui "Avatar" dovrebbe essere incoronato, ma proprio per ciò che ha rappresentato la sua realizzazione: una frontiera abbattuta, un crocevia essenziale per il cinema del futuro. Se l'Academy vuol guardare avanti, non può fare altro che premiare tutto questo.

Vedremo quindi per chi propenderanno i giurati : la fantascienza o la guerra, il blockbuster o il film indipendente, la magniloquenza o l'impegno autoriale. I vincitori degli ultimi anni fanno pensare alla seconda possibilità (l'ultimo film "mainstream" a vincere come miglior film fu "Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re" nel 2004), ma non è ancora detta l'ultima parola, nonostante i pronostici siano tutti per il film della Bigelow.

Mine Vaganti Day

Venerdì 5 marzo, ore 18, @ Feltrinelli, via de' Cerretani, Firenze.
Uno di quei rari momenti della vita in cui hai la possibilità di trovarti faccia a faccia con il tuo regista-idolo di sempre (almeno per quanto riguarda il cinema italiano): Ferzan Ozpetek.
Colui che ci ha regalato perle come "Le Fate Ignoranti" e "La Finestra di Fronte", l'unico nel Belpaese a parlare apertamente di omosessualità, raccontandola senza inutili pudori, reticenze o banalità, nel modo in cui va fatto: "normalmente" (che brutta parola, direbbe Ilaria Occhini), come qualunque altra caratteristica dell'essere umano.
L'incontro col pubblico alla libreria Feltrinelli ha visto protagonista il regista italo-turco e parte del cast del suo ultimo film "Mine Vaganti": Elena Sofia Ricci, Ennio Fantastichini e Alessandro Preziosi. Incalzati dalle domande (alcune piuttosto banali e scontate) di un giornalista, i 4 hanno dimostrato intelligenza, ironia e grande passione per il lavoro che fanno.

L'entusiasmo era palpabile: si captava l'atmosfera conviviale che Ozpetek ricrea non solo nelle sue pellicole, ma proprio sul set, durante la lavorazione, trattando il suo cast come una grande famiglia.
Fantastichini saggio come pochi, Ricci simpatica, Preziosi figo e piacione, ma ne ha ben donde.
Un incontro coi fiocchi culminato con l'
autografo dell'attrice e del regista, un cimelio, quest'ultimo in particolare, da conservare ed incorniciare per i posteri!



Il film si apre con una sequenza priva di dialoghi: Carolina Crescentini, in abito da sposa, corre per la campagna salentina dal suo amore impossibile, tentando un gesto estremo. È un flashback. Il montaggio serrato ci fa intuire che si tratta della nonna Cantone (un'Ilaria Occhini meravigliosa, il suo personaggio è uno dei più belli mai scritti da Ozpetek) in giovane età.
Il regista turco firma il suo film più (passatemi il termine) almodovariano, nei personaggi (in primis la zia Elena Sofia Ricci, mai così in parte e divertente: occhialuta, alcolizzata e amante del sesso, il personaggio è ispirato a tre zie di Ozpetek) e nell'ironia. Si ride, tanto e di gusto, con intelligenza, in questa sua ottava opera, che si pone senza dubbio al di sopra dei suoi ultimi lavori (sicuramente di "Un giorno perfetto", ma anche di "Saturno Contro").
Merito di un equilibrio vincente tra commedia e dramma, tra stile e temi a lui sempre cari (l'importanza della famiglia, tradizionale e non, il cibo, l'omosessualità, i rapporti genitori-figli, amicali, ecc.).
Abbandonando alcune forzature e velleità autoriali, il regista ritrova la sua vera linfa, in chiave di commedia all'italiana più classica, dello spaccato di vita più genuino e viscerale, mettendoci il cuore più che la testa. E si sente.
La sua storia è sincera, realizzata con passione, brillante e coinvolgente (ne sono testimonianza le reazioni del pubblico durante la proiezione in anteprima, risate fragorose e applausi finali). Non a caso, il film è stato accolto benissimo al Festival di Berlino ed è già stato acquistato da 16 Paesi.
Ogni personaggio porta con sé turbamenti, pazzie, sconvolgimenti, traumi e sogni (inespressi o meno), che si tratti della rivelazione della propria omosessualità, di una felicità rubata o di un amore irraggiungibile. Ognuno nasconde un segreto, un passato più o meno oscuro (come il personaggio della sempre brava Nicole Grimaudo, purtroppo non completamente approfondito), che rende la tanto decantata "normalità" soltanto un'irritante utopia.
E la riflessione non deriva da una lezioncina morale o retorica, ma da un senso di familiarità e immedesimazione quasi automatici, che rendono la pellicola magnificamente imperfetta (perché non ricerca la perfezione, ma l'umanità attraverso uno stile dissacrante), come qualsiasi essere umano.
Quello, ad esempio, interpretato da Ennio Fantastichini (superbo), un padre autorevole e bigotto. Oppure la mamma Lunetta Savino (deliziosa e incontenibile), ossessionata dai dubbi e dai sensi di colpa, come ogni madre italiana (e non).
I figli, paradossalmente, sono i personaggi meno marcati, lasciati più liberi dalla sceneggiatura (firmata dal regista e da Ivan Cotroneo, al posto dei soliti Gianni Romoli e Tilde Corsi), quindi più fluidi: Preziosi, presenza fugace ma basilare nel racconto, si dimostra convincente, Scamarcio, sdoganato dai tempi mocciosi, si conferma interprete sensibile, anche se a volte troppo incolore e "passivo".
In definitiva, un cast in stato di grazia, impreziosito dalle presenze colorite e stereotipate (forse eccessivamente, ma perdoniamo Ozpetek vista l'ilarità che suscitano. E poi, chi non ha mai incontrato nella vita reale ragazzi così?) degli amici romani di Tommaso/Scamarcio, piombati nella casa natìa del ragazzo, portando scompiglio e ambiguità.
Oltre alle loro, le scene più divertenti sono quella nel negozio di borse, in cui Savino e Ricci incontrano una pettegola compaesana, e quella in cui, sempre la zia Ricci, offre uno sciroppo particolare alle due nipotine in carne.
Commovente la scena finale della nonna, in cui si abbuffa di dolci, e punte di genialità raggiunge il finale vero e proprio, d'ispirazione felliniana, in cui vivi e morti si ricongiungono in una grande scena danzante, lasciando da parte un po' di orgoglio e prestando più attenzione ai cari che si trovano intorno ad ognuno di noi.
Come sempre azzecatissima la colonna sonora, con la trainante "50mila" cantata da Nina Zilli, che restituisce tutta l'atmosfera e il sapore di un racconto magico e veritiero al tempo stesso, che in altri Paesi parrebbe anacronistico ma che in Italia ancora rimane attualissimo, purtroppo.
Consoliamoci, senza essere banali: l'amore, alla fine, è l'unico che conta, anche se non viene realizzato pienamente. Gli affetti familiari, contraddittori, nocivi, ma anche quelli più sentiti, plasmano e caratterizzano, nel bene e nel male, ciascun individuo.
Alla fine, comunque, tutto ci viene restituito, anche ciò che avevamo lasciato indietro.









giovedì 4 marzo 2010

Best Acceptance Speeches Ever

Mancano 4 giorni alla Notte cinematografica più importante dell'anno, e mentre l'attesa si fa spasmodica ed i pronostici si sprecano, è sempre un mio personalissimo rito riguardare le varie premiazioni degli anni passati.
Vedere quello che l'Oscar rappresenta per ogni attore, la magia, la commozione, la gioia pura, un destino roseo che si spalanca davanti ad ogni vincitore, è sempre un grande godimento.
Certo, anche le delusioni nei volti degli sconfitti e la testimonianza di come, a distanza di anni, alcune performance premiate siano state autentici colpi di fortuna, rimanendo casi isolati (vedi Mira Sorvino, Halle Berry, Catherine Zeta-Jones, Hilary Swank, Gwyneth Paltrow, Adrien Brody, Jamie Foxx e tanti altri), fanno parte del gioco dell'Academy, il cui premio è al tempo stesso una benedizione ed una maledizione per chi lo riceve.
Perché dopo di esso niente è più come prima, bene o male l'Oscar cambia per sempre una carriera, che sia attoriale o registica.
Scorsese l'ha vinto solo 3 anni fa, forse immeritatamente per un film come "The Departed", viste le opere precedenti per le quali fu nominato.

La Swank l'ha ottenuto ben 2 volte, rappresentando quasi un miracolo, dal momento che le performance che ci ha regalato successivamente sono state tutt'al più mediocri.
Alcuni attori e attrici di grande talento come Peter O'Toole (non contando quello alla carriera), Johnny Depp (ma c'è tempo), Glenn Close, Michelle Pfeiffer, Sigourney Weaver e Julianne Moore non hanno mai avuto il privilegio di agguantarlo, mentre sembra incredibile che altri come Marisa Tomei, Mira Sorvino e Cuba Gooding Jr. possano tenerne uno sulla mensola di casa.
Checché se ne dica, l'Oscar da 82 anni provoca gioie e dolori.
Personalmente, i momenti di proclamazione del vincitore ed i relativi discorsi di ringraziamento che preferisco sono questi:

-Shirley MacLaine: vince l'Oscar come Miglior Attrice Protagonista nel 1984 per il film "Voglia di Tenerezza", dopo 5 nominations andate a vuoto. Il suo è l'acceptance speech più divertente e tra i più famosi che la storia dell'Academy ricordi: memorabile la frase finale "I deserve this!".

-Sean Penn: vince il suo secondo Oscar come Miglior Attore Protagonista nel 2009 per il film "Milk". Il suo è l'acceptance speech più "politico" ed ispirato, anche per l'atmosfera che si respirava in quel momento in USA (l'abolizione della Proposition 8 a favore dei matrimoni gay). Grande prova d'attore e grande uomo.

-Julia Roberts: vince l'Oscar come Miglior Attrice Protagonista nel 2001 per il film "Erin Brokovich". Forse la vittoria più prevedibile dell'anno, ma il suo acceptance speech è ugualmente brillante e sentito, nonostante la lunghezza. Ma per la carismatica diva, giustamente, è un'occasione unica e lo sa bene anche lei, affermando: "potrei non risalire più su questo palco".

-Adrien Brody: vince l'Oscar come Miglior Attore Protagonista nel 2003 per il film "Il Pianista", a sorpresa. Ed il primo a non crederci è proprio lui, che a soli 29 anni sale sul palco per ritirare la statuetta e, tra l'ovazione generale, bacia sulla bocca Halle Berry in un impeto di gioia. E regala anche un'importante riflessione sulla guerra in Iraq, al tempo appena scoppiata.

-Roberto Benigni: vince l'Oscar nel 1999, sia come Miglior Attore Protagonista che per il Miglior Film Straniero per "La Vita è Bella". Ed è quest'ultimo premio, proclamato da Sophia Loren attraverso l'ormai leggendaria battuta "Robbberto!!!", a rappresentare uno dei momenti più belli e commoventi nella storia dell'Oscar. Benigni che sale sulle poltrone e si tiene a Steven Spielberg, saltella sulle scale e riempie la sala con il suo inimitabile entusiasmo, provocando standing ovations e lacrime negli spettatori, rimane tuttora indelebile nella nostra memoria. Come il suo discorso in pseudo-inglese.

-Halle Berry: vince l'Oscar nel 2002 come Miglior Attrice Protagonista per il film "Monster's Ball". La sua vittoria entra subito nella storia, visto che è la prima attrice di colore a vincere un Oscar in quella categoria. In uno dei momenti più emozionanti dell'Academy, Halle Berry scoppia in lacrime ed il suo lungo e commosso discorso provocherà varie standing ovation, anche da chi quell'anno si vide soffiare il premio (leggi Nicole Kidman, superfavorita, ma si sarebbe rifatta l'anno successivo). Come dice lei stessa, un momento "bigger than me", da ricordare soprattutto per il fatto che ci sono voluti 74 anni all'Academy per premiare un'attrice nera in un ruolo da protagonista.

Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio qualunque Dio esista
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’orrore delle ombre
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io Sono il signore del mio destino:
Io Sono il capitano della mia anima.

(William Ernest Henley)


Sebbene non ci troviamo di fronte al migliore Eastwood ("Mystic River" e "Million Dollar Baby" restano inarrivabili), il cineasta californiano continua ad essere una delle poche certezze di questo mondo (cinematografico e non) confusionario e precario.
Come un caro, vecchio amico di cui ci fidiamo ciecamente, il regista ci accompagna con mano sempre ferma ma colma di grazia in una storia realmente accaduta (siamo nel 1995, Nelson Mandela è stato appena eletto presidente del Sud Africa e la squadra di rugby nazionale disputa la Coppa del Mondo tra mille avversità), ancora una volta portando sullo schermo uno sport "violento" (come fu la boxe nel film con Hilary Swank) per farne metafora della vita e, in questo caso, dello spirito di un'intera nazione, quella divisa che il neo-eletto presidente Mandela si ritrova a dover governare.
Morgan Freeman, da applausi, si cala alla perfezione nei difficili panni di uno dei leader più carismatici di sempre, oltre che geniale comunicatore: all'attore candidato all'Oscar (ma purtroppo non lo vincerà) basta un movimento della bocca o uno sguardo per rendere tutta l'umanità e la speranza di un uomo che, dopo Gandhi, è stato forse l'esempio più lampante e fulgido di forza interiore che la Storia contemporanea ricordi.
Eastwood, attento ai particolari, senza paura di addentrarsi in un racconto che poteva scadere nel banale e libero da timori nel dover rappresentare un'altra cultura ed un altro popolo (se ne era già avuta prova con "Lettere da Iwo Jima"), restituisce con abilità e sguardo generoso e sincero l'atmosfera di una nazione straziata dall'apartheid, soprattutto da una singola, semplice scena: la squadra di guardie del corpo di Mandela, totalmente di colore, che viene rinforzata da uomini bianchi appena il presidente si insedia, scatenando tensioni in modo eloquente, pur senza usare dialoghi pleonastici.
La violenza del rugby, poi, viene raffigurata in tutto il suo vigore, realisticamente: le botte, i lividi, il sudore, il sangue. Essi rappresentano la lotta viscerale di una squadra che porta un fardello micidiale: sacrificare se stessa per portare un messaggio di spirito nazionale, uno ed unito sotto un'unica bandiera, grazie anche al suo capitano, un convincente Matt Damon (anche lui candidato all'Oscar, come non protagonista).
Da segnalare, infine, la frase pronunciata da un agente della squadra dei bodyguard: "Il calcio è uno sport per gentiluomini giocato da selvaggi, il rugby è un gioco per selvaggi giocato da gentiluomini."


lunedì 1 marzo 2010

Non è un Paese per Gay

Facendo colazione stamane, un biscotto Grancereale mi è andato di traverso mentre guardavo la tv ed il consueto passaggio di trailer sulle nuove uscite cinematografiche.
Ero già a conoscenza dell'orrido titolo italiano (ma ormai dovremmo esserci abituati, vedi "Se mi lasci ti cancello" su tutti) scelto per il nuovo film di Jim Carrey, ovvero "Colpo di Fulmine - Il Mago della Truffa", roba da accapponare la pelle (non si capisce: è un film d'azione o tratta di una love story? C'entra la Tatangelo o Giò Di Tonno? Domande senza risposta, apparentemente).
In originale, infatti, il titolo è semplicemente "I love you Philip Morris", che non è quello delle sigarette, ma il personaggio interpretato da Ewan McGregor (Ave!), oggetto del desiderio di Jim Carrey nel film.
Ora, non solo il titolo è fuorviante e distorce completamente la vera anima del film (l'amore tra i due compagni di cella), ma anche il suddetto trailer compie un'epurazione coi fiocchi, cancellando totalmente il personaggio di McGregor (mai menzionato o mostrato in quasi un minuto e mezzo, nonostante sia il co-protagonista), ergo la componente gay della pellicola.
Il fatto che si tratti di un breve spot, dirà qualcuno, esime dal farne un caso tragico e dall'uso di paroloni avventati come censura, arretramento culturale e civile, omofobia addirittura (anche se, a mio avviso, ci stanno tutte).
Nessuno però potrà dire che sia una coincidenza il fatto che una commedia apertamente gay (perché di un amore omosessuale tratta!), in Italia, venga ridotta, almeno nel trailer, ad un'insensata storia di truffa ed imbrogli.
Così si inganna il pubblico, viene presentato un prodotto che in realtà è diverso da com'è stato concepito e realizzato, viene offesa l'intelligenza di chi il cinema lo fa e lo vuole vedere sul serio.
Queste tristi mosse distributive, al fine di accaparrarsi un pubblico più vasto ("altrimenti andrebbero a vederlo solo i gay", secondo le logiche commerciali italiane), finiranno soltanto per creare due reazioni: indignazione, da parte di chi sa bene di cosa tratta il film e vuole vederlo in quanto appassionato di cinema e dotato di intelligenza; disgusto, da parte del penoso pubblico medio che va a vedere i film di Michael Bay pensando sia cinema d'autore e che, convinto che si tratti dell'ennesima commedia scanzonata di Jim Carrey, appena quest'ultimo bacerà con entusiasmo il suo partner sulla scena, si scatenerà in commenti e urla all'interno della sala tipo: "Oh, ma che sono froci??", "Ma che schifo, si baciano" o anche "Brutti culattoni", un campionario degno dei tempi che corrono.
Ma la colpa non è di questi individui, poveretti, nati loro malgrado con qualche cromosoma in meno, ma del sistema culturale italiano che non si impegna minimamente a cambiare (tranne sporadici casi), anche nelle piccole cose come questa, l'imperante ideologia da Medioevo che ammorba da ormai troppo tempo il Paese e di cui non si vede la benché minima luce alla fine del tunnel.

Meglio godersi il trailer originale.


L'Apoge

Momenti di altissima televisione ieri sera ad Amici di Maria.
Il sottoscritto era incredulo (ebbene sì, mi sorprendo ancora per i livelli di trashitudine raggiunti dalla trasmissione) di fronte alla grottesca scena consumatasi tra Garofalo il pervertito e la Celentano.
Cosa non si fa per un misero siparietto, anche se stimo l'autoironia dell'insegnante di classico dalle borse sotto gli occhi ancora più imponenti della Crescentini.
Aggiungono raccapriccio le urla di incitamento di Platinette, come "Celentano si strusci" e "ha appoggiato il cappotto", ed il nuovo vocabolario garofalino (Elena dixit), che annovera neologismi come Strusciage (poi ribattezzato Strusciau), Sballottè e, appunto, Apoge.