lunedì 23 febbraio 2009

La Notte degli Oscar: la Cerimonia

Ore 02:30. Kodak Theatre completamente rinnovato: palco con pedana circolare, platea raccolta a semicerchio per un'atmosfera più intima, un arco sovrastante con centinaia di migliaia di cristalli, lampadari, geometrie che riprendono lo stile di Piazza del Campidoglio di Michelangelo, orchestra in fondo anziché sotto al palco. La recessione impone sobrietà e tagli alle spese inutili, ed il tutto si fa più raccolto e scorrevole.
Hugh Jackman è un mostro del palcoscenico: dopo una breve, brillante introduzione (scherzando sul suo ruolo di australiano in "Australia"), biasimando proprio la crisi economica e la necessità di risparmiare, si esibisce in uno straordinario numero musicale nel quale ricrea gli ambienti di tutti i film nominati, dalla postazione del "Millionaire" al ring di "The wrestler", dal panchetto con megafono di "Milk" alla linea della vita al contrario di Benjamin Button.
Eccelse la voce e la presenza scenica dell'attore di Wolverine, non riusciamo a credere alla sua eterosessualità (più che altro io, Susie dice che almeno uno bello e bravo dobbiamo lasciarlo anche a loro!). Il Tony Award vinto qualche anno fa adesso si spiega completamente. Bravissima anche Anne Hathaway, simpaticamente presa dalla sua poltrona e portata sul palco per la parodia del film "Frost/Nixon", nella quale lei sfoggia un'ottima voce (quindi tra poco la vedremo in un musical). Standing ovation per il presentatore australiano alla fine del suo show di presentazione delle pellicole in gara: davvero originale, ironico ma allo stesso tempo d'effetto.

Voto: 10.


Già si respira un'atmosfera di totale rivoluzione, ed infatti ne ho la conferma durante la consegna del primo premio della serata, quello per la Migliore Attrice Non Protagonista: il gigantesco video-wall proietta un filmato (adoro adoro adoro queste operazioni rimembrative) delle passate vincitrici di tale categoria, con i loro discorsi di ringraziamento pieni d'emozione e di lodi, per poi dividersi magicamente in 5 pannelli verticali, dietro ad ognuno dei quali sta un'attrice non protagonista storica, più precisamente: Eva Marie Saint ("Fronte del Porto", 1954), Whoopi Goldberg ("Ghost", 1990), Goldie Hawn ("Fiore di cactus", 1969), Anjelica Houston ("L'onore dei Prizzi", 1985) e Tilda Swinton ("Micheal Clayton", 2007). La loro apparizione genera nel pubblico un'altra standing ovation e a me e a Susie un'autentica meraviglia e trasecolamento nel vedere cotanto talento riunito su un unico palco, il modo in cui sono entrate, la magia ed il lustro che solo gli Oscar ed il loro sfrenato meccanismo sanno regalare. Sorpresa delle sorprese, ognuna di loro introduce un'attrice nominata, descrivendo la sua performance e celebrando degnamente la categoria "recitazione", come forse non era mai stato fatto in tempi recenti. Riconoscere singolarmente il merito è importantissimo e basilare per la cerimonia, e chiunque abbia partorito tale idea è un genio.
Whoopi, leopardata e con occhiali da sole, ironizza sul ruolo da suora di Amy Adams, mentre Goldie Hawn, insieme alla Loren, è la più fulgida testimonial del bisturi della serata.
Al termine dei 5 elogi, Tilda Swinton apre la fatidica busta e pronuncia il nome di Penélope Cruz, che sale emozionatissima sul palco per ritirare l'agognata statuetta e ricordare, tra gli altri, il suo mentore-pigmalione Pedro Almod
όvar, che ringrazia per le occasioni che le ha regalato durante gli anni.


Diciamo che non abbiamo esultato per questo premio: nonostante la performance della Cruz sia validissima e dia al film "Vicky Cristina Barcelona" una marcia in più, un Oscar è eccessivo ed avremmo visto meglio Viola Davis o Taraji P.Henson al suo posto.

Ma tant'è, il viaggio è appena iniziato e subito arrivano Tina Fey e Steve Martin, esilaranti, per premiare la categoria Miglior Sceneggiatura, Originale e non: nel primo caso la vittoria spetta allo splendido script di Dustin Lance Black per "Milk" (gaudio e felicità!).
Il giovanissimo autore (34 anni, ma ne dimostra dieci di meno) sale visibilmente commosso sul palco, regalando uno dei discorsi più sentiti, importanti ed emozionanti della serata: ricordando la sua parabola di omosessuale, dalle scuole mormone fino alla scoperta di Harvey Milk, lancia un messaggio a tutti i ragazzi e ragazze, gay e lesbiche, che si sentono fuori posto, emarginati e non accettati. Parte un applauso anche a noi, vedendo quanto le cose siano cambiate se chi vince l'Oscar può parlare serenamente di omosessualità e l'intero teatro lo applaude fragorosamente. Questa cerimonia non poteva iniziare meglio.
Voto al discorso: 10+.

La Miglior Sceneggiatura Non Originale se l'aggiudica invece "Slumdog Millionaire", il primo di una lunga serie di statuette, come vedremo in seguito. Qui avrei visto meglio "Doubt", ma gli indiani sono favoriti quest'anno.
"Wall-E" vince (scontatamente) il premio come Miglior film d'animazione, preceduto da una presentazione di tutte le pellicole animate dell'anno, altro esempio di celebrazione e importanza data ad ogni categoria.
Sottolineando il ruolo strategico ed essenziale di tutti gli elementi di un film, oltre che per dare un aspetto variegato ed evocativo alla cornice del teatro, ecco che sul palco vengono allestiti mini-set e scenografie per rappresentare i premi prettamente tecnici, quali Direzione artistica, Costumi, Trucco, ecc.
Il risultato è sicuramente valido e svecchia una cerimonia tradizionalmente piuttosto austera e rispettosa dell'etichetta (un paradosso vista la sobrietà richiesta), rinnovamento testimoniato anche dalla divertente clip stile "Movie Awards" che vede coinvolti i talenti comici di James Franco e Seth Rogen, l'imitazione di Joaquin Phoenix da parte di Ben Stiller (che ho capito solo il giorno dopo scoprendone il significato alla radio) e, soprattutto, il ritorno alle origini del più puro ed emblematico spettacolo da Oscar Show: il Musical.

Hugh Jackman, superando se stesso, si presenta in marsina, cilindro e bastone per lanciarsi in una rievocazione strepitosa dei più famosi momenti del genere che ha fatto la storia hollywoodiana, da "Singin' in the rain" a "Chicago", da "West Side Story" a "Grease", passando per "Hairspray", "Dreamgirls", "Evita" e "Mamma Mia!" (il fenomeno dell'anno), coadiuvato dal talento straordinario di Beyoncé, in rosso, applauditissima, e dagli emergenti Zac Efron, Vanessa Hudgens, Dominic Cooper e Amanda Seyfried (tutti bravi ed in parte), in uno spettacolo (ideato e coreografato da Buz Luhrmann, e si vede) da standing ovation (l'ennesima), che celebra la rinascita del musical come impronta preponderante del cinema odierno. Straordinario.


Per il premio al Miglior Attore Non Protagonista, ecco che si raccolgono sul palco altri 5 celebri vincitori storici: Joel Grey ("Cabaret", 1972), Kevin Kline ("Un pesce di nome Wanda", 1988), Alan Arkin ("Little Miss Sunshine", 2006), Christopher Walken ("Il cacciatore", 1979)e Cuba Gooding Jr. ("Jerry Maguire", 1996).
La statuetta va, secondo le previsioni, al compianto Heath Ledger per la sua pazzesca interpretazione in "The Dark Knight" (secondo attore, dopo Peter Finch, a vincerla postuma), ed il momento è uno dei più felici, ma amari al tempo stesso, della serata. Ritirano l'Oscar il padre, la madre e la sorella di Heath, ringraziando l'Academy per l'onore tributato al giovane attore per il quale la recitazione era tutto, scomparso davvero troppo presto e consumando la sua vita velocemente ed intensamente. Occhi lucidi tra la folla, mentre da parte mia, oltre alla grande gioia mista a tristezza, c'è la frustrazione del mancato Oscar per "Brokeback Mountain", che Heath meritava in pieno e che avrebbe potuto ritirare ancora da vivo.
Ma comunque meglio tardi che mai.



La serata procede velocemente, con i premi a "The curious case of Benjamin Button" nelle categorie Direzione Artistica, Trucco ed Effetti Visivi (più che meritati), ma "Slumdog Millionaire" recupera largamente con la Miglior Fotografia, gli Effetti Sonori ed il Montaggio, mentre "The Dark Knight" si aggiudica la seconda statuetta per il Miglior Sonoro.
Dopo l'Oscar umanitario a Jerry Lewis, per il suo impegno nella causa dei bambini malati, è la volta della categoria Colonna Sonora: l'orchestra esegue brevemente i cinque pezzi candidati per le migliori musiche, successivamente arrivano sul palco Alicia Keys (secondo Susie indossava una parrucca ed era uguale alla Barbie nera) e Zac Efron per premiare la Miglior colonna sonora originale, che va a "Slumdog Millionaire".
Poi è il momento dell'esibizione delle migliori canzoni originali: della categoria fanno parte ben due brani tratti da "Slumdog Millionaire" e uno da "Wall-E".
Per il film di Danny Boyle canta il compositore e autore dei testi A.R.Rahman (considerato il Mozart indiano), in una performance dal sapore fortemente etnico, con tamburi, acrobati, ballerine e chi più ne ha più ne metta, per la perfetta dimostrazione dell'avanzata dell'Asia nei costumi e nella cultura occidentali. Le canzoni sono "O Saya" e "Jai Ho", quest'ultima già utilizzata da Garrison in una delle sue migliori coreografie di Amici 9 (ed infatti pensavamo che da un momento all'altro arrivassero Leon, José ed Amilcare con i loro gonnelloni stile tovaglia da campeggio).
Lo spettacolo, sfarzoso e coinvolgente, porta nel teatro una ventata bollywoodiana, ormai cifra distintiva della serata. Ed infatti, dopo la performance di John Legend nella canzone "Down to Earth" tratta da Wall-E (scritta da Peter Gabriel, che non ha voluto esibirsi in quanto la scaletta prevedeva un taglio di 1 minuto e mezzo al brano, davvero snob e cafone l'ex Genesis) con un bel coro gospel, anche il premio per la Miglior Canzone Originale va a "Slumdog Millionaire" (proprio per "Jai Ho"), che vince la sesta statuetta della serata (superando in numeri i vincitori delle edizioni passate: "Million Dollar Baby", "The Departed" e "No Country For Old Men" arrivarono in totale a 4 Oscar, mentre "Crash" fece peggio con soli 3) distaccando il suo più temibile avversario,
"The curious case of Benjamin Button", e proiettandosi (ormai senza più alcun dubbio) verso l'en-plein con i premi più importanti. Rispettata quindi la parabola di questa stagione, che vedeva il piccolo film indipendente, il Davide di Mumbai, battere puntualmente il Golia "Button" ad ogni premiazione.
Miglior Film Straniero (categoria seguita con malumore per l'ancora bruciante delusione di "Gomorra" che, come mi fa giustamente notare Susie, in confronto a "La bestia nel cuore", candidato 3 anni fa, è nettamente migliore) viene decretato "Departures", pellicola proveniente dal Giappone (a sopresa, contro i favoritissimi "Waltz with Bashir" e "La classe"), e seguiamo divertiti il discorso di ringraziamento in una lingua ibrida americana/giapponese ("Shank you" invece di "Thank you").
Queen Latifah, sempre bravissima, si esibisce in una canzone che accompagna la clip "In Memoriam", che ogni anno ricorda gli artisti scomparsi durante gli ultimi 12 mesi, tra i quali svettano i compianti Anthony Minghella, Sidney Pollack (entrambi produttori di "The Reader") ed il grande Paul Newman.
Arrivano i premi più importanti: Reese Witherspoon presenta la categoria Miglior Regia, che va (ovviamente) a Danny Boyle per "Slumdog Millionaire", il quale, stringendo la statuetta, comincia a saltare euforicamente sul palco, tra gli applausi concitati del cast del film, ancora increduli di trovarsi lì.
Per la categoria Miglior Attrice Protagonista arrivano Sophia Loren ("La ciociara", 1961), Shirley McLaine ("Voglia di tenerezza", 1983), Nicole Kidman ("The Hours", 2002), Halle Berry ("Monster's Ball", 2001) e Marion Cotillard ("La vie en rose", 2007), queste ultime tre splendide in altrettanti meravigliosi abiti, soprattutto l'attrice francese, vincitrice lo scorso anno.
La Loren, sfoderando un inglese abbastanza buono (ma la cadenza di Pozzuoli si fa sentire) introduce la performance della Streep, che orgogliosa la ringrazia, mentre la Kidman tesse le lodi di Angelina Jolie (curioso notare come in tali manifestazioni tutte si vogliano bene e si ammirino l'un l'altra).
Ma l'Oscar va a Kate Winslet, ed era l'ora, viste le 5 nominations andate a vuoto in passato. Estremamente emozionata, si rivolge alla Cruz riprendendo la sua frase dello svenimento sul palco, e dedica il premio ai suoi genitori (che non trova tra la folla e a cui chiede di fischiare per trovarli), al marito Sam Mendes e ai produttori Minghella e Pollack, entrambi scomparsi. Raggiante e piena di classe, l'attrice inglese è stata finalmente premiata dall'Academy dopo 13 anni (nel 1996 la prima nomination, per "Ragione e Sentimento"): il suo talento è innegabile e siamo sicuri che non sarà l'unico Oscar che sfoggerà sul camino di casa.


Detto ciò, confesso che, prioritariamente, tifavo per Meryl Streep e la sua gigantesca performance ne "Il dubbio", ma quest'anno le prove delle attrici sono state molte e tutte di alto livello.

Altra magnifica cinquina di attori, stavolta per il premio al Miglior Attore Protagonista: Adrien Brody ("Il Pianista", 2002), Robert De Niro ("Toro scatenato", 1980), Micheal Douglas ("Wall Street", 1987), Anthony Hopkins ("Il silenzio degli innocenti", 1990) e Ben Kingsley ("Gandhi", 1982) annunciano le nominations per il premio meno scontato della serata.
Susie ed io, leggendo i pronostici prima dell'evento, eravamo ormai rassegnati nel veder vincitore Mickey Rourke
e le sue labbra a canotto (i bookmakers lo davano favorito con il 51% delle chance), ma Micheal Douglas (che amerò sempre d'ora in poi) legge il nome di Sean Penn!
Urla e salti sul divano, balletto della felicità e abbraccio, siamo letteralmente impazziti, di gioia e di sorpresa, per l'Oscar a Penn-Milk e per tutto ciò che questa performance ed il relativo premio significano, soprattutto di questi tempi. Con la moglie, Robin Wright Penn, in lacrime, ed accompagnato da un'altra, lunga, standing ovation, Sean sale sul palco e ritira per la seconda volta la statuetta (già vinta nel 2004 per "Mystic River"), pronunciando il discorso più "politico" della serata, invitando tutti coloro che hanno votato contro i matrimoni gay a rivedere le loro scelte e a biasimare il loro comportamento vergognoso, invocando uguali diritti per tutti (altro fragoroso applauso e lacrime dello sceneggiatore Lance Black) e dicendosi orgoglioso di vivere in un Paese che elegge un presidente come Obama e che permette agli artisti, nonostante le avversità, di compiere scelte coraggiose. Grandioso.
Voto: 11.



Dopo questo grande momento, io e Susie siamo certi che, tornato a casa, Mickey Rourke si suiciderà.
Infine, come da copione, l'ultimo premio, quello per il Miglior Film, viene consegnato da Steven Spielberg al pigliatutto "Slumdog Millionaire", che con 8 statuette raggiunge film come "Via col vento", "Da qui all'eternità", "Cabaret", "Gandhi" e "Amadeus" e supera in numeri grandi recenti vincitori come "Schindler's List", "Shakespeare in love" (7 Oscar ciascuno) e "Chicago" (6 Oscar).
Si è premiato, tra le altre cose, il miglior rapporto costo di produzione-incassi, oltre che ovviamente la storia edificante (e a lieto fine) e la messa in scena, semplice ma d'effetto.

Incredibilmente abbiamo resistito fino alle 06:10, ora in cui Hugh Jackman saluta e dà la buonanotte a tutti. Di caffè, alla fine, ne abbiamo bevuto solo una tazza, e andiamo a letto soddisfatti soprattutto per Penn che, in una delle edizioni più gay-friendly della storia, ha simboleggiato l'apertura di orizzonti di una società, quella americana, ancora piena di contraddizioni ma pronta e indirizzata sulla giusta strada del rinnovamento e dei diritti civili per qualunque cittadino, mentre nel nostro Paese canzoni che parlano di ex-gay arrivano seconde al Festival più importante della musica italiana (vabbè), e nel quale non si riesce a raggiungere uno straccio di legge che tuteli le coppie omosessuali, scadendo nella più totale inciviltà.
Thank you Academy Awards, per essere sempre un passo più avanti rispetto alla retrograda società in cui ci troviamo, testimoniando prima di chiunque altro un trend positivo e progressista.
Alla prossima!

Nessun commento: