
Il film di Danny Boyle candidato a 10 premi Oscar è un affascinante concentrato di attualità, globalizzazione e cultura pop. Il titolo italiano (semplicemente "The Millionaire") toglie ingiustamente la poeticità dell'ossimoro presente in quello originale.
Attraverso il quiz televisivo "Chi vuol essere milionario?", al quale il protagonista (Dev Patel, molto bravo) partecipa per ritrovare il suo amore perduto (la bellissima Freida Pinto), l'originale storia, tratta da un romanzo di Vikas Swarup e sceneggiata da Simon Beaufoy, ci trasporta nella povertà e nel degrado dell'India, guidandoci, attraverso gli occhi di due bambini che vivono nelle baraccopoli di Bombay (le slums, appunto) e che diventaranno grandi loro malgrado, fino alla metamorfosi della città che nel 1995 cambierà il suo nome in Mumbai.
Al posto delle baraccopoli nelle quali vivevano i due piccoli protagonisti, anni dopo verranno eretti grattacieli per ospitare lussuosi uffici, ma il marcio e la corruzione al loro interno resteranno tali.
L'amore però può trionfare su tutto: questo il messaggio della pellicola, che si snoda tra flashback, montaggi serrati ed un'ottima fotografia che spazia dal punto di vista del bambino Jamal, al minimalismo del cinema britannico fino a quella, lussureggiante, delle opere bollywoodiane, perfettamente captate grazie anche all'occhio indigeno della co-regista Loveleen Tandan.
A tratti un po' forzato nella ripetitività del binomio "domande-ricordo", che rende qualche scelta narrativa e registica di sapore furbesco ed eccessivamente ammiccante al pubblico.
Il finale è, comunque, realisticamente emozionante, nel quale la metafora del potere dei media odierni e della globalizzazione, uniti al meta-spettacolo e alla sete di denaro e celebrità si fondono sulle note del famosissimo quiz, per regalarci un happy ending sobrio ma sentito nel quale, appunto, l'amore tra due individui, che lottano sin dall'infanzia in una vita che non gli ha regalato nulla, vince incondizionatamente.
Visivamente incisivo e sferzante, si capisce perché la storia abbia colpito molti ed affascinato la maggior parte della critica mondiale: come il suo protagonista, il film è partito da progetto indipendente, su cui pochi avrebbero scommesso, ed ha pian piano raggiunto le platee e le giurie mondiali, arrivando come favorito al non plus ultra dell'opulenza e del prestigio occidentali (cinematograficamente parlando), simboleggiati dagli Oscar. Che (quasi) sicuramente vincerà, anche se, nonostante la validità e la bellezza dell'opera, non penso meriti fino in fondo il titolo di Miglior Film dell'anno, semplicemente perché non siamo in presenza di un capolavoro assoluto.
Ovviamente questo non lo esimerà dall'ottenere l'ambita statuetta, visto che in passato l'hanno vinta film ben più mediocri di questo (vedi "Crash" e "The Departed", per citare gli ultimi).
In ogni caso mi riservo il giudizio dopo la visione degli altri 4 concorrenti, ma so già che tiferò "Milk" a scatola chiusa.
Attraverso il quiz televisivo "Chi vuol essere milionario?", al quale il protagonista (Dev Patel, molto bravo) partecipa per ritrovare il suo amore perduto (la bellissima Freida Pinto), l'originale storia, tratta da un romanzo di Vikas Swarup e sceneggiata da Simon Beaufoy, ci trasporta nella povertà e nel degrado dell'India, guidandoci, attraverso gli occhi di due bambini che vivono nelle baraccopoli di Bombay (le slums, appunto) e che diventaranno grandi loro malgrado, fino alla metamorfosi della città che nel 1995 cambierà il suo nome in Mumbai.
Al posto delle baraccopoli nelle quali vivevano i due piccoli protagonisti, anni dopo verranno eretti grattacieli per ospitare lussuosi uffici, ma il marcio e la corruzione al loro interno resteranno tali.
L'amore però può trionfare su tutto: questo il messaggio della pellicola, che si snoda tra flashback, montaggi serrati ed un'ottima fotografia che spazia dal punto di vista del bambino Jamal, al minimalismo del cinema britannico fino a quella, lussureggiante, delle opere bollywoodiane, perfettamente captate grazie anche all'occhio indigeno della co-regista Loveleen Tandan.
A tratti un po' forzato nella ripetitività del binomio "domande-ricordo", che rende qualche scelta narrativa e registica di sapore furbesco ed eccessivamente ammiccante al pubblico.
Il finale è, comunque, realisticamente emozionante, nel quale la metafora del potere dei media odierni e della globalizzazione, uniti al meta-spettacolo e alla sete di denaro e celebrità si fondono sulle note del famosissimo quiz, per regalarci un happy ending sobrio ma sentito nel quale, appunto, l'amore tra due individui, che lottano sin dall'infanzia in una vita che non gli ha regalato nulla, vince incondizionatamente.
Visivamente incisivo e sferzante, si capisce perché la storia abbia colpito molti ed affascinato la maggior parte della critica mondiale: come il suo protagonista, il film è partito da progetto indipendente, su cui pochi avrebbero scommesso, ed ha pian piano raggiunto le platee e le giurie mondiali, arrivando come favorito al non plus ultra dell'opulenza e del prestigio occidentali (cinematograficamente parlando), simboleggiati dagli Oscar. Che (quasi) sicuramente vincerà, anche se, nonostante la validità e la bellezza dell'opera, non penso meriti fino in fondo il titolo di Miglior Film dell'anno, semplicemente perché non siamo in presenza di un capolavoro assoluto.
Ovviamente questo non lo esimerà dall'ottenere l'ambita statuetta, visto che in passato l'hanno vinta film ben più mediocri di questo (vedi "Crash" e "The Departed", per citare gli ultimi).
In ogni caso mi riservo il giudizio dopo la visione degli altri 4 concorrenti, ma so già che tiferò "Milk" a scatola chiusa.
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