
Il delicato rapporto non convenzionale tra un padre soffocante ed una figlia inadeguata alla vita viene reso lucidamente dalla mano sapiente del cineasta bolognese, di cui si nota l'affezione particolare per l'argomento.
Le dinamiche familiari non sono nuove per il regista, ma qui il tutto viene condito con un'ulteriore esplorazione dell'animo umano, quello fragile e contorto di un'adolescente borderline che si macchia di un orrendo delitto e non si pente, finendo in un vortice di pazzia, mentre il genitore apprensivo (ed incapace di ritenerla un'assassina) compie un percorso di espiazione convinto di essere responsabile del gesto della figlia.
Una fotografia brunita ed un montaggio a dissolvenza (forse troppo abusato) rendono perfettamente l'atmosfera di quegli anni difficili, soffocanti ed inesorabilmente destinati a portare sciagure e dolore.
La ricostruzione storica è sempre uno dei punti forti di Avati, che anche in questo caso non rinuncia a dare più di uno sguardo alla Storia, che forse nella seconda parte si fa troppo ingombrante a scapito della vicenda principale.
Dalla soppressione della Camera dei Deputati ai bombardamenti su Bologna, fino alla liberazione e alle fucilazioni sommarie da parte dei partigiani (scena peraltro molto contestata al Festival di Venezia), il quadro storico è servito, anche con qualche accusa di revisionismo (a mio parere infondata, in guerra non esistono buoni e cattivi in modo così netto, per una volta qualcuno ha osato mostrare il lato oscuro della partigianeria).
L'esperienza del regista (anche sceneggiatore) ci regala un prodotto solido, reso tale soprattutto dalle interpretazioni magistrali di tutti gli attori, anche quelli di secondo piano.
Una strameritata Coppa Volpi a Silvio Orlando non poteva che confermare il talento di uno dei più preziosi interpreti del nostro cinema: è lui il film, semplicemente. Attraverso la sua grazia, i suoi occhi spaesati ed il suo sguardo inimitabile, l'attore napoletano rende in maniera perfetta questo complicato personaggio fatto di chiaroscuri, morbosamente attaccato alla figlia ed incapace di accorgersi del fallimento del suo matrimonio.
Eccezionale anche Alba Rohrwacher nei panni di Giovanna: la nuova stella del cinema italiano regala un'interpretazione sublime, rendendo al meglio tutta l'inquietudine, lo scompenso psicologico e l'ingenua pazzia solo con uno sguardo o un movimento degli occhi (i suoi primi piani sono qualcosa di sconvolgente, l'attrice è superba nel non strafare, sottraendo sempre qualcosa alla sua recitazione). Il buio dell'anima e l'infantilismo da ragazza interrotta sono più attuali che mai, soprattutto negli ultimi anni di cronache nere su omicidi perpetrati da adolescenti.
L'angoscia nelle stanze del manicomio giudiziario e l'irreversibile vortice di psicosi che rende Giovanna maggiormente esposta ai suoi demoni interiori sono i momenti più toccanti del film (uno su tutti, la scena in cui il padre regala a Giovanna i guanti neri della madre).
Bravissima Francesca Neri nel disegnare senza concessioni al patetismo una donna intrappolata in una vita infelice, accanto ad un uomo che non ama e madre assente di una figlia con cui non vuole avere niente a che fare. Complesso e doloroso, questo ruolo rende finalmente giustizia all'attrice.
La sorpresa del film arriva da Ezio Greggio, mimetico nel ruolo di un ispettore di polizia, fidato amico di famiglia, le cui vicissitudini avranno una tragica fine in una delle scene più crude della pellicola. Mai sopra le righe, il personaggio televisivo dà una bella prova per intensità e fermezza.
Il finale è forse troppo accomodante e qualche scelta narrativa resta sospesa nel vuoto, ma in definitiva il film regala dei personaggi scritti magnificamente, caratteri sfaccettati, dialoghi mai stereotipati ed intimisti, che vanno a fondo e non ricercano il dolore "sensazionalistico" di tante storie.
Le dinamiche familiari non sono nuove per il regista, ma qui il tutto viene condito con un'ulteriore esplorazione dell'animo umano, quello fragile e contorto di un'adolescente borderline che si macchia di un orrendo delitto e non si pente, finendo in un vortice di pazzia, mentre il genitore apprensivo (ed incapace di ritenerla un'assassina) compie un percorso di espiazione convinto di essere responsabile del gesto della figlia.
Una fotografia brunita ed un montaggio a dissolvenza (forse troppo abusato) rendono perfettamente l'atmosfera di quegli anni difficili, soffocanti ed inesorabilmente destinati a portare sciagure e dolore.
La ricostruzione storica è sempre uno dei punti forti di Avati, che anche in questo caso non rinuncia a dare più di uno sguardo alla Storia, che forse nella seconda parte si fa troppo ingombrante a scapito della vicenda principale.
Dalla soppressione della Camera dei Deputati ai bombardamenti su Bologna, fino alla liberazione e alle fucilazioni sommarie da parte dei partigiani (scena peraltro molto contestata al Festival di Venezia), il quadro storico è servito, anche con qualche accusa di revisionismo (a mio parere infondata, in guerra non esistono buoni e cattivi in modo così netto, per una volta qualcuno ha osato mostrare il lato oscuro della partigianeria).
L'esperienza del regista (anche sceneggiatore) ci regala un prodotto solido, reso tale soprattutto dalle interpretazioni magistrali di tutti gli attori, anche quelli di secondo piano.
Una strameritata Coppa Volpi a Silvio Orlando non poteva che confermare il talento di uno dei più preziosi interpreti del nostro cinema: è lui il film, semplicemente. Attraverso la sua grazia, i suoi occhi spaesati ed il suo sguardo inimitabile, l'attore napoletano rende in maniera perfetta questo complicato personaggio fatto di chiaroscuri, morbosamente attaccato alla figlia ed incapace di accorgersi del fallimento del suo matrimonio.
Eccezionale anche Alba Rohrwacher nei panni di Giovanna: la nuova stella del cinema italiano regala un'interpretazione sublime, rendendo al meglio tutta l'inquietudine, lo scompenso psicologico e l'ingenua pazzia solo con uno sguardo o un movimento degli occhi (i suoi primi piani sono qualcosa di sconvolgente, l'attrice è superba nel non strafare, sottraendo sempre qualcosa alla sua recitazione). Il buio dell'anima e l'infantilismo da ragazza interrotta sono più attuali che mai, soprattutto negli ultimi anni di cronache nere su omicidi perpetrati da adolescenti.
L'angoscia nelle stanze del manicomio giudiziario e l'irreversibile vortice di psicosi che rende Giovanna maggiormente esposta ai suoi demoni interiori sono i momenti più toccanti del film (uno su tutti, la scena in cui il padre regala a Giovanna i guanti neri della madre).
Bravissima Francesca Neri nel disegnare senza concessioni al patetismo una donna intrappolata in una vita infelice, accanto ad un uomo che non ama e madre assente di una figlia con cui non vuole avere niente a che fare. Complesso e doloroso, questo ruolo rende finalmente giustizia all'attrice.
La sorpresa del film arriva da Ezio Greggio, mimetico nel ruolo di un ispettore di polizia, fidato amico di famiglia, le cui vicissitudini avranno una tragica fine in una delle scene più crude della pellicola. Mai sopra le righe, il personaggio televisivo dà una bella prova per intensità e fermezza.
Il finale è forse troppo accomodante e qualche scelta narrativa resta sospesa nel vuoto, ma in definitiva il film regala dei personaggi scritti magnificamente, caratteri sfaccettati, dialoghi mai stereotipati ed intimisti, che vanno a fondo e non ricercano il dolore "sensazionalistico" di tante storie.
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