lunedì 2 novembre 2009

Los Abrazos Rotos

Due cose rimangono allo spettatore dopo la visione dell’ultima pellicola di Almodóvar: le tinte rosso acceso degli abiti di Penélope Cruz ed il suo sguardo dolente.

Il regista manchego dona alla sua attrice feticcio un ruolo che sarebbe stato perfetto per le eroine passionali degli anni ’40 in stile Barbara Stanwyck e Rita Hayworth, ma con le sembianze delicate di Audrey Hepburn. Lei non può fare altro che incarnarlo con inesauribile grazie e soavità.

Attraverso un complesso gioco di intrecci, incastri e flashback, che a tratti ricorda “La mala educación” per i toni noir (ma senza la scabrosità dei temi), il cineasta spagnolo tratteggia con sapienza una storia di amori e vendette, inevitabili all’interno delle sue opere.

La legge del desiderio è infatti la prima e, forse, unica forza che spinge i suoi personaggi a compiere le azioni più scellerate, guidate da impulsi di gelosia e cieca furia amorosa.

La sensazione che tuttavia si ha qui è l’assenza di quella scintilla, viva e pulsante, che ha caratterizzato l’ultima decade del suo periodo “adulto”, da “Tutto su mia madre” fino ad oggi.

Nonostante la bravura degli attori (in primis Cruz, Lluís Homar e Blanca Portillo), l’eccellente fotografia e la struggente colonna sonora, si ha l’impressione che Almodóvar abbia posto un’impenetrabile vetro tra la sua opera e lo spettatore, che impedisce di godere e soffrire in maniera viscerale delle tormentate vicende dei protagonisti.

D’altra parte la barriera che diviene condizione mentale è anche ciò che caratterizza il protagonista maschile con la sua cecità, quindi alla fine ci si chiede se tale effetto non sia stato deliberatamente voluto dal regista, che non lascia mai nulla al caso, come le vivide immagini dei tailleur rosso sangue di Lena/Cruz, delle fotografie strappate sui volti degli amanti e delle radiografie alle fratture ossee, che restituiscono tutta la forza, emotiva e narrativa, di questo suo diciassettesimo lungometraggio, in definitiva una riflessione sul cinema e sul ruolo di chi lo crea.

La devozione alla settima arte è infatti palpabile, dagli omaggi a “Viaggio in Italia” di Rossellini (con la scena del ritrovamento dei due cadaveri abbracciati colti dalla lava, sequenza che ha ispirato il titolo della pellicola) fino a quelli del suo “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, auto-citazione che rende al meglio lo spirito eclettico e variegato di un regista che, anche con un film mediocre (ma non è questo certamente il caso), rimarrà comunque un genio del suo tempo.



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